La Montagna MIUR partorisce il topolino… ancora una volta!
Con il decreto sul FFO per l’anno 2017, la quantità di denari che il Governo ha messo a disposizione dell’Università è sostanzialmente invariata rispetto all’anno passato
Saverio Regasto
Con il decreto sul FFO per l’anno 2017, la quantità di denari che il Governo ha messo a disposizione dell’Università è sostanzialmente invariata rispetto all’anno passato. L’assenza di risorse aggiuntive pone un serio interrogativo circa la sostenibilità economica nel tempo delle attività universitarie. Nel decreto vi sono anzi tutta una serie di interventi che, in buona sostanza, riducono gli stanziamenti in favore degli studenti per promuovere non meglio specificate esigenze di premialità fra gli Atenei del Paese, sulla base dei giudizi espressi dall’Anvur, l’Agenzia esterna (si fa per dire) che “giudica” e “valuta” il sistema universitario nel suo complesso e i singoli Atenei.
E’ stato pubblicato, questa mattina (10 agosto NdR), sul sito del Ministero dell’Università, il Decreto sul Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) per l’anno 2017, il complicato meccanismo con cui il Paese finanzia il sistema universitario italiano, al netto delle tasse degli studenti che, come è noto, per gli Atenei pubblici “pesano” per circa il 20% dei bilanci.
La lettura del Decreto appare piuttosto ostica, in particolare per i non addetti ai lavori, tuttavia essa mostra, purtroppo, numerose criticità che meritano di essere immediatamente segnalate. A partire dalla prima, in ordine di importanza: la quantità di denari che il Governo ha messo a disposizione dell’Università è sostanzialmente invariata rispetto all’anno passato. Il tanto strombazzato recupero di competitività del nostro sistema universitario rispetto agli altri Paesi europei è rimasto, ancora una volta, come peraltro nell’ultimo settennio, una chimera…
In assenza di risorse aggiuntive si pone pertanto un serio interrogativo circa la sostenibilità economica nel tempo delle attività universitarie, anche tenuto conto dei maggiori oneri conseguenti al positivo superamento del blocco pluriennale delle retribuzioni (fermo restando che i Professori e Ricercatori universitari dovranno scioperare per vedersi riconosciuta la parità di trattamento con le altre categorie del pubblico impiego).
Vi sono poi tutta una serie di interventi che, in buona sostanza, riducono gli stanziamenti in favore degli studenti per promuovere non meglio specificate esigenze di premialità fra gli Atenei del Paese, sulla base dei giudizi espressi dall’Anvur (la famigerata VQR di cui tanto si è parlato con riferimento alla sua attendibilità scientifica), l’Agenzia esterna (si fa per dire) che “giudica” e “valuta” il sistema universitario nel suo complesso e i singoli Atenei.
Talvolta commette grotteschi errori, come nel recente caso dell’elenco delle Riviste escluse per difetto di scientificità (suggerisco la lettura di alcuni divertenti articoli sul sito Roars).
Costruire un fondo di finanziamento per le Università di un Paese non è cosa semplice, in particolare se non si vuole tornare ai criteri “a pioggia”. Tuttavia esser sempre prigionieri di “algoritmi” e altre astratte elucubrazioni frutto di stime, pareri, variabili e altre stranezze ricavate dai numeri appare a chi scrive di dubbia utilità, anzi di sicuro danno.
Non certo per ragioni professionali (è noto che i giuristi hanno rapporti assai difficili con la scienza dei numeri), ma perché innamorarsi esclusivamente della logica delle stime, delle proiezioni, degli algoritmi, ecc. fa perdere di vista l’obiettivo principale delle scelte: il finanziamento di un sistema universitario risponde, innanzi tutto, a un criterio politico, è una decisione, appunto politica che deriva dalle risposte che si intendono dare ad alcune fondamentali domande: quale sviluppo si pensa di dare a questo Paese?
Quale il ruolo delle Università pubbliche nelle dinamiche della ricerca scientifica di base e applicata?
Vogliamo dare una risposta seria alla crisi degli immatricolati?
Pensiamo seriamente che il futuro dell’Italia poggi (ergo, debba poggiare) sulla cultura, sulla scienza e sulla competitività culturale dei nostri giovani?
In buona sostanza, i nostri riferimenti sono in Europa o in Africa? Con tutto il rispetto per quest’ultimo grande e bellissimo Continente. Il Governo, distratto da problematiche apparentemente più serie (vitalizi, legge elettorale, ecc.) nicchia e dimentica, ancora una volta, il ruolo fondamentale dell’Università nel percorso di crescita di un Paese. Forse pensa che una Università libera, a cui possano iscriversi tutti i giovani che lo desiderano (abolendo la relativa tassazione come accade nella “rivoluzionaria” e “sovietica” Germania di Angela Merkel) possa rappresentare, per autorevolezza, indipendenza e, soprattutto, autonomia, peraltro costituzionalmente garantita, un pericolo e non una fondamentale risorsa per questo Paese?
I giovani lo hanno capito benissimo, assetati come sono di conoscenza, ma chi li governa si trincera, come sempre, dietro i fantasmi della crisi economica che da sempre impediscono la crescita dei finanziamenti (ma per ribadire alcuni discutibili acquisti militari non mi pare che ci sia stato il medesimo atteggiamento prudenziale).
Occorre invertire repentinamente la rotta, aumentando i finanziamenti agli Atenei, ma vigilando sulla corretta e trasparente utilizzazione dei denari pubblici (circostanza di cui si parla sempre molto poco nelle Università), premiando i comportamenti virtuosi e per la naturale legge del contrappasso, punendo – le disposizioni esistono, basta solo applicarle – coloro i quali pensano che i denari pubblici possano essere spesi a proprio piacimento senza render conto ad alcuno. Non confondiamo, per favore, il presunto eccesso di burocrazia con la furba idea di eliminare ogni tipo di controllo di legalità, perché ciò significa tornare a quel “governo degli uomini” che è stato opportunamente soppiantato dal “Governo delle leggi”. Altrimenti il Paese sarà destinato ad un lento e inesorabile declino dal quale sarà davvero difficile uscire in tempi brevi.