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La Nuova Ferrara-Lezioni in piazza per dire no alla riforma

Singolare forma di protesta a Ferrara contro la legge Moratti. Si annuncia una settimana di fuoco dal 10 al 15 ottobre Lezioni in piazza per dire no alla riforma I ricercatori: "Tutta la...

07/10/2005
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Nuova Ferrara

Singolare forma di protesta a Ferrara contro la legge Moratti. Si annuncia una settimana di fuoco dal 10 al 15 ottobre
Lezioni in piazza per dire no alla riforma
I ricercatori: "Tutta la città deve sapere il valore del nostro lavoro"
ATENEI IN RIVOLTA
ALESSANDRA MURA


La ricerca universitaria si compie nel chiuso dei laboratori, ma spesso i suoi effetti si diffondono tra le diverse pieghe della quotidianità. La stessa ricerca, ora minacciata dalla riforma Moratti, scenderà in "piazza" per un'iniziativa di protesta e sensibilizzazione organizzata dall'Ateneo ferrarese e che si terrà nell'ambito dell'annunciata settimana di blocco dell'attività accademica.
In questi giorni - all'indomani dell'approvazione in Senato a colpi di fiducia del ddl Moratti - i coordinamenti dei ricercatori strutturati e precari di Ferrara si sono riuniti più volte per definire le modalità di una battaglia che si annuncia lunga in tutti gli Atenei italiani.
Le associazioni nazionali dei sindacati e della docenza hanno proposto uno sciopero generale dell'Università dal 10 al 15 ottobre. Proprio in queste ore si sta valutando l'adesione al "blocco" dell'attività, ma in ogni caso il nostro Ateneo ha deciso di far sentire in modo deciso la sua voce.
L'idea è quella di organizzare - con ogni probabilità giovedì 13 ottobre - una giornata di lezioni in piazza, tra la gente, per dimostrare nel modo più chiaro e diretto l'importanza della ricerca e le sue ripercussioni sulla qualità della vita concreta delle persone, sullo sviluppo e sul livello di competitività di un Paese.
Un singolare "manifesto" in carne, ossa e parole, per sensibilizzare i cittadini sull'importanza della ricerca pubblica. La stessa che, con la cancellazione della figura del ricercatore prevista dal riordino sullo stato giuridico dei docenti, rischia di scomparire dagli Atenei statali e diventare dominio esclusivo degli istituti di ricerca privati. La riforma sostituisce infatti il ricercatore strutturato con figure assunte a tempo determinato con contratti rinnovabili per un numero ancora non ben precisato di volte. Un colpo mortale alla qualità e alla continuità dell'attività di ricerca. Tanto più che anche il trattamento economico riservato a queste "nuove" figure non è fissato con criteri unitari, ma sarà stabilito in via discrezionale dai singoli Atenei. Per le Università italiane questo si tradurrebbe in un profondo cambiamento dei propri ruoli e competenze. Un cambiamento tutt'altro che positivo. Il rischio, anzi la certezza, è infatti quello di limitare il proprio lavoro alla didattica. Ma una didattica con la "d" minuscola, perché slegata appunto dall'attività scientifica.
Non solo: la riforma non riconosce ai ricercatori il ruolo di docenti, consentendo l'insegnamento solo alle figure dei professori associati e ordinari. Un'ulteriore scissione tra quelle che storicamente sono sempre state le due componenti fondamentali della formazione universitaria. Va da sè che la precarizzazione della carriera accademica è destinata a disincentivare i giovani neolaureati a investire il loro futuro nell'Università pubblica. Che, ultimo lato oscuro del provvedimento ministeriale, potrà contare su risorse sempre più limitate. La riforma sarà applicata "a costo zero".