La parità digitale che non migliora i voti
Tablet e lavagne interattive da Nord a Sud. Ma uno studio mostra che la tecnologia non riduce le differenze
C’era una volta il digital divide . Scuole del Nord dove entravano computer e libri digitali e aule del Sud ferme a lavagna e gessetto. Le statistiche che misurano la tecnologia nella scuola a chili di ferro contavano nel 2001 un computer ogni 25 alunni nelle Regioni del Centro-Nord; uno ogni 33 al Sud. Oggi gli indicatori si sono livellati, non c’è differenza tra Piemonte e Campania, Puglia e Lombardia: circa dieci computer ogni cento ragazzi, un’aula su due con connessione Wi-Fi (ma in Sardegna arrivano al 70%), tre su dieci con la Lim, la lavagna interattiva multimediale (con una forbice che va dal 24% della Liguria al 77% della Sardegna).
Investimenti massicci
In mezzo, ci sono stati investimenti massicci: fondi ministeriali, ma soprattutto contributi europei per il Mezzogiorno che hanno avuto un impatto sul fronte delle dotazioni: 440 milioni di euro in sette anni (2007-2014) per l’acquisto di tecnologie didattiche. Obiettivo dichiarato (e che rientra nella strategia EU2020 e nella Digital Agenda): l’incremento dell’efficacia didattica e dell’apprendimento degli studenti, insieme all’acquisizione di competenze fondamentali nella vita e nel lavoro.
Le conseguenze
Però l’aver infarcito le classi di Lim, Wi-Fi e tablet non ha avuto effetti positivi sul rendimento. Lo dice un’indagine commissionata dall’Unità di valutazione degli investimenti pubblici della Presidenza del Consiglio dei ministri (coordinata dalla società Studiare Sviluppo Srl), che mette per la prima volta in collegamento l’introduzione dei media digitali nelle scuole con gli esiti dei test Invalsi. Gli effetti positivi sono modesti al Nord, dove i punteggi migliorano dello 0,4% in Italiano e dell’1,5% in Matematica, rispetto alla media nazionale; negativi al Sud: tra -0,5 e -1% nelle Regioni dell’«Obiettivo Convergenza» (Campania, Puglia, Calabria, Sicilia), dove «i massicci finanziamenti hanno reso poco selettivo l’accesso alle tecnologie, facendole arrivare anche laddove il contesto non era pronto o particolarmente motivante», scrivono i ricercatori Marco Gui (Università di Milano-Bicocca) e Simone Giusti (associazione l’Altra Città). Un dato che conferma le conclusioni dell’Ocse che sostiene che i quindicenni che usano moderatamente i computer a scuola tendono ad avere un miglior apprendimento dei coetanei che lo usano poco o nulla, ma quelli che lo utilizzano in modo massiccio peggiorano nella lettura, in Matematica e nelle Scienze.
Anche i ricercatori italiani arrivano alla conclusione che c’è un tetto nell’uso delle tecnologie oltre il quale i risultati calano fino a raggiungere il livello di chi non le utilizza. Questo non vuol dire che si debba smettere di investire in dotazioni informatiche, avvertono i ricercatori. Anche perché l’uso in classe di pc o altri device mobili garantisce meno abbandoni, meno assenze, più studenti che si immatricolano.
Il confronto europeo
L’Italia è agli ultimi posti quanto a numero di studenti per pc e per numero di alunni con laptop connesso (il 94,7% delle scuole del Mezzogiorno dichiara di non avere tablet, dato in linea con il resto del Paese); in media europea per presenza di Lim; nel 40% delle scuole il registro elettronico (dove segnare assenze, voti, lezioni) non è arrivato; in un istituto su quattro non è contemplato l’uso di Internet per la didattica. Secondo European Schoolnet , poi, abbiamo la percentuale più elevata di studenti che frequentano una scuola senza banda larga: 25% (contro una media europea del 5%). E tablet e Lim senza banda larga sono spesso ciechi e muti.
Avanti, dunque, ma con altri obiettivi: «La motivazione principale non può più essere l’aumento delle prestazioni degli studenti in Italiano e Matematica, ma la diffusione e perequazione di un uso critico della Rete», sostiene Marco Gui. Agli studenti va insegnato lo sforzo del confronto e il senso critico per valutare i contenuti. E il «parco tecnologico» delle scuole non dovrà più essere calato dall’alto, senza coinvolgere i prof e senza insegnar loro un uso efficiente degli strumenti.
«La mancanza di competenze interne alle scuole ha causato problemi organizzativi», dice la ricerca, che cita casi di istituti che hanno ricevuto contemporaneamente Lim per tutte le aule dell’istituto; furti dei pc usati per accedere alle lavagne interattive; un’ampiezza di banda per collegarsi alla rete pari, quando va bene, a quella di casa; pochi laboratori e magari dotati di vecchi desktop dismessi dalle aziende.
Ieri il Miur ha presentato il Piano nazionale scuola digitale. Un miliardo di euro, fino al 2020, per avere edifici tutti cablati e connessi a Internet (entro il 2016), registro elettronico per ogni classe, ambienti scolastici digitalizzati, formazione ad hoc per studenti, prof e segreterie.
Antonella De Gregorio