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La protesta in cattedra sciopero blocca-esami in ottanta università

Via libera della Commissione di garanzia Lo stop da lunedì per chiedere lo sblocco degli stipendi. “L’adesione sarà altissima” Gli studenti: “Ma è un errore colpire noi”

23/08/2017
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la Repubblica

Ilaria Venturi

Non 

si vedeva dagli anni Settanta il blocco degli esami all’università. Arriverà nella sessione che si apre il 28 agosto, segnando un inedito autunno caldo negli atenei. A incrociare le braccia saranno i professori con uno sciopero proclamato dal basso, che ha scavalcato i sindacati, e che ha avuto il via libera dalla Commissione di garanzia: «È legittimo». Dunque chi aderirà farà saltare il primo appello d’esame fissato nella sessione che parte dopo la pausa estiva e si chiude il 31 ottobre.

«Confidiamo in un’adesione ben più che massiccia», dichiara Carlo Ferraro, decano al Politecnico di Torino, anima della mobilitazione. Sono 5.444, poco più del dieci per cento degli accademici, i docenti e i ricercatori di 79 università ed enti di ricerca che hanno firmato la lettera di proclamazione dello sciopero prima ancora di sapere se fosse possibile farlo. Ora l’autorità per gli scioperi ha dato il suo beneplacito, dopo un incontro a fine luglio con i rappresentanti del Movimento per la dignità della docenza universitaria, del Miur e della Conferenza dei rettori. Ed è partito il

tam tam tra gli atenei, con riunioni fissate questa settimana per diffondere le ragioni di una protesta che ha acceso il dibattito. Gli studenti chiedono di non essere danneggiati, anche perché sapranno all’ultimo se salta una finestra per dare l’esame. La Flc-Cgil lancia invece un appello per una mobilitazione più ampia. «Conosciamo bene i malanni dell’università, intanto partiamo da qui. Poi allargheremo il campo di battaglia», replica Ferraro.

Tra i professori la discussione è accesa, c’è chi teme uno sciopero corporativo visto che le motivazioni riguardano gli stipendi. Il nodo sta nel blocco degli scatti stipendiali per i dipendenti pubblici (tranne i magistrati) per cinque anni dal 2011. Da gennaio 2015 sono stati sbloccati nel pubblico impiego con la sola eccezione degli universitari, che se li sono visti riconoscere dal 2016. In più è mancato il riconoscimento ai fini giuridici, con conseguenti effetti sulla pensione, del quadriennio 2011-2014. Di qui lo sciopero, che in realtà segna un malessere più diffuso, accumulato per anni dagli accademici.

La protesta si è fatta sentire dal 2014 con lettere ai premier di turno, 14mila firme spedite al presidente Sergio Mattarella, presìdi nei rettorati sino al rifiuto di rendere disponibili i propri lavori scientifici per la valutazione.

«Siamo arrivati allo sciopero dopo essere rimasti inascoltati per anni», spiega Carla Cuomo, coordinatrice della mobilitazione all’ateneo di Bologna. Ferraro frena sui danni creati agli studenti: «Un disagio ci sarà. Ma abbiamo chiesto agli atenei di garantire un appello straordinario nel caso ci sia una sola possibilità nella sessione di dare esami. E di venire incontro a chi si deve laureare ». Sulla posta in gioco Giuseppe De Nicolao, docente di Pavia, ha fatto i conti e scrive su Roars:«Nel 2010 erano stati calcolati gli effetti del blocco degli scatti, ipotizzato su tre anni: per il ricercatore sono più di 80mila euro e per il professore ordinario più di 160.000».

«Abbiamo pagato la crisi con senso del dovere, come tutti. E non difendiamo nessun privilegio, chiediamo di non essere discriminati», osserva Paolo D’Achille, docente di Linguistica a Roma Tre. Un ordinario oggi, con le carriere che cominciano più tardi, arriva a 3.700-4.000 euro al mese. Le retribuzioni dei nuovi ricercatori a tempo determinato post Gelmini vanno da 34.898 a 45.367 euro lordi annui. «È ora di battere un colpo», insiste Carmela Cappelli, statistica alla Federico II. Non teme a rivelare quanto guadagna da ricercatrice con 15 anni di anzianità: poco più di 1.900 euro. A Napoli è pronto un ricorso al Tar sostenuto da 200 docenti con le stesse motivazioni dello sciopero, che ora potrebbe fermarsi solo per intervento del Miur, «ma a fronte di risposte nel merito, su elementi concreti». Difficile. La ministra Valeria Fedeli lo ha già bollato come scelta errata.