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La ricetta di Boeri e Perotti per l’università: i numeri sono giusti?

A seguito di una analisi dei loro dati è possibile mostrare che B&P confrontano Italia e Inghilterra usando dati non solo grossolanamente incongruenti, ma anche calcolati in modo errato.

05/05/2021
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ROARS

Alberto Baccini

oeri e Perotti (B&P) hanno sostenuto, in un articolo che ha avuto una vasta eco, che “almeno una parte dei finanziamenti all’università deve premiare la ricerca migliore; e questa quota premiale, se assegnata seriamente, sarà necessariamente concentrata”. La proposta di B&P è basata sul confronto dei dati sulla concentrazione del finanziamento alle università statali italiane e alle top-57 università inglesi. A seguito di una analisi dei loro dati è possibile mostrare che B&P confrontano Italia e Inghilterra usando dati non solo grossolanamente incongruenti, ma anche calcolati in modo errato. La Tabella 1 dell’articolo su Lavoce, dedicata all’Italia, non contiene un solo dato corretto. La Tabella 2, dedicata all’Inghilterra, contiene al più 4 dati corretti sui 24 riportati.

Se il confronto è condotto sui dati corretti, i risultati della comparazione tra Italia e Inghilterra cambiano radicalmente. Le entrate dell’intero sistema universitario statale italiano sono pari a  poco meno di un terzo di quelle  delle top-57 università inglesi. L’ammontare del finanziamento statale per studente in Inghilterra è quasi doppio rispetto a quello italiano. La quota premiale in Italia è circa il triplo della quota premiale inglese. Infatti, in Italia la quota premiale pesa ormai per il 23.8% delle entrate totali degli atenei, per un ammontare medio per docente di circa €40 mila. In Inghilterra la quota premiale è pari al 7,9% delle entrate totali e l’ammontare medio per docente è pari a circa €14 mila.

Dunque la piccola quota premiale inglese è distribuita in Inghilterra in modo più concentrato di quanto non sia la grande quota premiale in Italia. Perché accade questo? Nel sistema inglese il finanziamento basato sulla valutazione della qualità della ricerca è ‘un premio’ per università già dotate di risorse per ricerca e didattica. In Italia la quota premiale è invece necessaria al funzionamento ‘ordinario’ perché è stata ricavata con una pari riduzione del finanziamento ordinario di base delle università. Di conseguenza il premio non ha potuto essere distribuito in modo troppo sperequato, perché questo avrebbe voluto dire la crisi irreversibile di molti atenei già in difficoltà. A partire dal 2009, gli atenei italiani sono stati sottoposti ad un processo di compressione selettiva e cumulativa generato da un intricato insieme di regole su stabilità finanziaria, distribuzione del FFO base e distribuzione dei punti organico. Distribuire le ‘risorse premiali’ ogni anno in proporzione alla dimensione degli atenei ha rafforzato il processo per cui atenei in contrazione più marcata hanno visto diminuire non solo l’FFO base, ma anche la ‘parte premiale’. La grande e costosa macchina della VQR è servita e serve a mascherare questa compressione selettiva e cumulativa dietro una parvenza di ‘meritocrazia’.

Qualche settimana fa ha avuto una notevole eco un articolo di Boeri e Perotti (B&P) su La Repubblica dal titolo “Basta finanziamenti a pioggia per le Università. Per far funzionare la ricerca bisogna concentrare i fondi pubblici sugli atenei migliori”. L’articolo era basato su un più lungo articolo uscito su LaVoce.info.

La tesi di B&P è che “almeno una parte dei finanziamenti all’università deve premiare la ricerca migliore; e questa quota premiale, se assegnata seriamente, sarà necessariamente concentrata”. La tesi di B&P è basata sul confronto per l’anno 2019 dei dati sulla concentrazione del finanziamento alle università statali italiane e alle top-57 università inglesi. Poiché trovano valori di concentrazioni minori per le università italiane, concludono che “la quota premiale e le tre Vqr non hanno contribuito a rendere più selettiva l’allocazione dei fondi pubblici alle università. Al contrario, paradossalmente e inspiegabilmente hanno finito per ridurla. … Così non si stimolano le università a fare meglio.”

A qualche settimana dall’uscita, a seguito di due commenti mai pubblicati sul sito de LaVoce e di alcuni tweet, B&P hanno finalmente reso noti i dati su cui hanno costruito il loro lavoro [scaricabili qui e qui]. E’ stato quindi possibile ricostruire i loro calcoli. Questo post illustra le incongruenze e gli errori contenuti nell’articolo di B&P su LaVoce.info.

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