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La scuola a lezione dalle famiglie
Superare l’emergenza
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Chiara Saraceno
Chiuse le scuole, ora, occorre attrezzarsi sia sul piano didattico che su quello organizzativo, tenendo conto non solo dei diversi livelli d’istruzione, ma anche delle diverse circostanze economiche e sociali degli studenti, e delle famiglie, coinvolti.
Piattaforme di e-learning, lezioni skype e simili sono certamente utili, ma non accessibili a tutti. Non solo, come ha ammesso la ministra Lucia Azzolina nell’intervista di ieri su Repubblica , solo una piccola parte delle scuole e degli insegnanti è attrezzata in questo senso, ma, aggiungo io, non tutte le famiglie hanno una connessione Internet a casa e un computer o tablet da cui poter seguire le lezioni e scaricare i materiali. Per molte famiglie può persino essere difficile, per questo motivo, scaricare e stampare i messaggi e i materiali che vengono inviati dagli insegnati sulle chat di classe. Ed anche se ci riuscissero, non tutte sono in grado di supplire le insegnanti seguendo i figli nei compiti assegnati.
Far fare il ripasso della declinazione dei tempi del congiuntivo può essere difficile per un genitore o un nonno straniero, o anche italiano a bassa istruzione. E non tutti sono in grado di destreggiarsi con l’algebra. Per non parlare del fatto che molti genitori fanno già fatica a organizzarsi tra la necessità di continuare ad andare al lavoro e quella di trovare una sistemazione sicura per i loro figli, senza dover essere anche sovraccaricati dalla responsabilità di supplire gli insegnanti.
È un problema che riguarda soprattutto i più piccoli, i bambini delle scuole elementari e medie, ma, anche se in misura diversa coinvolge anche i più grandi, che non possono essere lasciati all’auto-apprendimento, senza una guida.
La chiusura prolungata delle scuole, se non si trovano soluzioni, rischia di aggravare le disuguaglianze tra bambini e ragazzi: tra chi ha nella propria famiglia risorse culturali e materiali che consentono di compensare la mancanza di scuola e chi ne è privo.
Non esiste una bacchetta magica, naturalmente. Ma alcune cose si possono fare, oltre a incentivare e sostenere scuole e insegnanti perché producano didattica online. Ad esempio, si possono dividere le classi in piccoli gruppi che si incontrino a turno a scuola con le insegnanti per indirizzare e integrare le attività (i compiti) che vengono assegnati a casa. Alcune famiglie che ne hanno i mezzi lo stanno già facendo.
Perché non può farlo la scuola? Potrebbero essere coinvolti in questa operazione anche i molti educatori che al momento sono lasciati a casa senza stipendio. Il rischio di contagio non sarà certo più alto di quello che c’è nei parchi e nelle palestre dove i bambini e ragazzi continuano a incontrarsi e stare assieme, o nelle case dove a turno un genitore o una nonna si occupa di più bambini.
Un’operazione di questo genere solleverebbe anche un po’ i genitori che non sanno più come fare tra lavoro e figli a casa. Si possono anche moltiplicare i luoghi, a partire dalle scuole stesse, in cui si ha gratuitamente accesso ad Internet e a una stampante, a disposizione di chi non lo ha a casa propria o in ufficio. Le reti internet urbane (ma forse anche quelle delle Poste e quelle commerciali) potrebbero dare un accesso gratuito, da per alcune ore al giorno. E si potrebbe promuovere, in collaborazione con Regioni, Comuni, fondazioni, banche, aziende, una distribuzione di tablet economici nei quartieri e nelle famiglie più svantaggiate. Si deve anche incominciare a pensare all’opportunità di prolungare l’anno scolastico e a non usare le scuole come sedi elettorali. Occorre uno sforzo di fantasia e organizzativo. Non possiamo e non dobbiamo permettere che le difficoltà che stiamo attraversando come Paese diventino un ulteriore fattore di disuguaglianza nell’istruzione.