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La scuola è fragile ma un italiano su due ci crede ancora

Al termine di un altro anno a singhiozzo la fiducia è scesa ai minimi degli ultimi venti anni. Eppure sono proprio i giovani ad averne di più

26/04/2021
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la Repubblica

Ilvo Diamanti

In aprile le scuole hanno, finalmente, riaperto. Soprattutto, hanno ri-avviato le lezioni in classe. In presenza. Così ha stabilito il Governo, con un decreto che, tuttavia, pone limiti e distinzioni in base al "colore" delle zone. Nel complesso, si prevede una presenza garantita almeno al 50%. Senza possibilità di deroghe da parte delle Regioni, che, in precedenza disponevano di un significativo grado di autonomia nelle decisioni. Le discussioni, in proposito, si sono sviluppate subito. Non solo perché le decisioni sulla Scuola coinvolgono altri ambiti, altri servizi. Per primi i trasporti. Ma, soprattutto, perché la Scuola è un "servizio essenziale". Un riferimento per i giovani, anzitutto. E per le famiglie. Cioè, per la società.

La Scuola ci obbliga a riflettere sul futuro. Di tutti. Non per caso, il piano di investimenti della Ue per rilanciare l'economia è stato definito "Next generation". Perché guarda avanti. Richiama la necessità di investire sul futuro. Dunque, sulle nuove generazioni. Si tratta di una prospettiva che, in Italia, non sembra aver ottenuto attenzione adeguata, da parte dei governi che si sono succeduti, nel corso degli anni. La quota di spesa destinata all'istruzione, in percentuale sulla spesa pubblica, resta fra le più basse (nel 2018: la più bassa) dell'Ue. Soprattutto riguardo all'Istruzione superiore, fra il 2010 e il 2018, si è ridotta quasi del 20%. Nonostante tutto, metà degli italiani esprime fiducia nei confronti della Scuola. Un indice sicuramente elevato. Tuttavia, il più basso degli ultimi 20 anni.

Nei primi anni del 2000, infatti, superava il 60%. In seguito, è progressivamente sceso. Fino a toccare il 50%, oggi. Ciò significa, però, che metà degli italiani continua ad avere fiducia nella Scuola. Nel mese di giugno 2020, peraltro, si era verificata una crescita: 57%. Su spinta e reazione verso il Virus. Se valutiamo i dati rilevati da Demos nel 23° Rapporto sull'atteggiamento degli Italiani verso lo Stato, lo scorso dicembre, la Scuola conferma un gradimento elevato: 54%. Simile ad oggi, dunque. E si posiziona in alto, in confronto alle principali istituzioni pubbliche. Peraltro, il prestigio sociale degli insegnanti, i professori universitari per primi, in Italia si conferma molto elevato, secondo un'indagine condotta da Demos (prima della pandemia). Secondi solo ai medici.

Tuttavia, la fiducia verso la Scuola, nell'ultimo anno, si è ridimensionata, anche se in misura non troppo elevata. Soprattutto a partire dall'autunno 2020. Una data significativa, che coincide con il ritorno a scuola dopo l'estate. Quando, cioè, il Virus, che pareva in fuga, è tornato fra noi, prepotente. E non ha risparmiato i giovani, com'era avvenuto in precedenza. Al contrario, ne ha fatto un bersaglio privilegiato. Complici gli assembramenti estivi. 

È, comunque, interessante osservare come gli indici di "confidenza" verso la Scuola più elevati (per quanto in calo) vengano espressi dai più giovani e dagli studenti, fra i quali raggiungono - oppure sfiorano - il 60%. Un dato simile si rileva nella categoria che comprende tecnici, dirigenti, funzionari e insegnanti. I quali hanno maturato esperienze scolastiche prolungate. Che permangono, nel tempo. Perché la scuola non finisce mai. Soprattutto per chi svolge attività e professioni che richiedono competenze specialistiche. Ma il legame con la Scuola non riguarda solo il lavoro. A Scuola si formano amicizie che durano nel tempo. Io stesso mantengo contatti ricorrenti con alcuni "compagni di scuola" del liceo. Ri-aprire le scuole significa, per questo, ri-costruire non solo il filo dell'apprendimento e della formazione. Ma il tessuto sociale. Per citare ciò che ha scritto nei giorni scorsi Massimo Recalcati su Repubblica, questo è "un tempo che potrebbe essere dedicato a ritessere i legami che costituiscono la vita comunitaria della Scuola". 

Un'esigenza che non può venire risolta attraverso la Didattica a distanza. La Dad. Che si avvale delle tecnologie digitali. Non solo perché la presenza dei pc, nelle famiglie, non è diffusa in modo omogeneo. E rischia di "escludere" componenti sociali che, più di altre, hanno bisogno di "non essere escluse". Il problema vero è che la Dad tende a tradursi in Rad. In Relazioni a distanza. Ma le "relazioni personali a distanza" allentano i legami sociali. Cioè, la società. Altre volte, nelle indagini di Demos, è emerso come vi sia una relazione significativa fra il tempo passato online e la sfiducia verso gli altri. Perché quando sei online, in fondo, sei da solo. Fra gli altri, ma lontano da loro. Basta guardarsi intorno e guardare noi stessi, in giro per le strade. Molti, quasi tutti, camminano con gli occhi puntati sullo smartphone. Intenti a leggere messaggi. E a rispondere. Senza soluzione di continuità. In modo e in tempo immediato. 

Per questo è importante ri-stabilire la Dip, la Didattica in presenza. Senza rinunciare alla Dad. Investendo, semmai, sulla Ddi - Didattica digitale integrata. Per ri-produrre una "società di persone". A partire dai giovani. Per garantire loro - e a noi - un futuro. Un orizzonte. A una società che, oggi, ha perduto l'orizzonte e rischia di perdere il proprio futuro. Insieme alla scuola. E ai suoi giovani.