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La scuola violata

Ciò che l’attentato davanti alla scuola Morvillo a Brindisi porta alla luce e segnala in modo aberrante è lo spaventoso stato della nostra nazione civile

20/05/2012
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l'Unità

Valeria Viganò

Ciò che l’attentato davanti alla scuola Morvillo a Brindisi porta alla luce e segnala in modo aberrante è lo spaventoso stato della nostra nazione civile. Quale che sia la matrice, individuale o mafiosa, si è colpito un luogo di giovane crescita delle coscienze, intitolata alla moglie uccisa di un grande magistrato ucciso. Per farlo si è ucciso. C’è qualcosa di fortemente simbolico in questa bomba costruita con bombole quotidiane, davanti alla quotidianità delle mattine scolastiche. Erano le 8, all’ingresso dell’istituto frequentato per lo più da ragazze, adolescenti che tentano di trovare un futuro. Che erano scese dagli autobus o dalle macchine dei genitori, con zaini o borse, e entravano nelle aule ognuna portandosi un piccolo bagaglio di esistenza fatta di libri, materie, fidanzatini, amiche, orari. La normalità con la quale i ritmi si ripetono per tutto l’anno scolastico è socialmente rassicurante. Da un qualsiasi nucleo famigliare i figli si consegnano alla scuola con una certa speranza, si affidano i tesori più preziosi a insegnanti, presidi, a una vita collettiva dove si impara e dove si sta insieme. Pur minato dallo stato attuale della scuola, esiste un legame strettissimo di obbligata fiducia reciproca tra istituzione pubblica e istituzione privata, non privo di conflitti ma carico anche di aspettative. La morte di una ragazza di sedici anni e i segni di questa strage porteranno dolore, sgomento e paura in chi l’ha vissuto in prima persona. Ma se ci pensiamo bene, il significato riguarda uno scontro terribile tra disvalori e valori che ha valicato la linea rossa di qualsiasi moralità. È un intreccio inverosimile che unisce impotenza, disagio e disprezzo della vita. Chiunque abbia preso le bombole a gas, abbia creato l’innesto, abbia piazzato proprio lì un esplosivo che voleva ammazzare, sapeva che le vittime sarebbero state ragazzine ignare e innocenti nel vero senso delle parole, voleva dare un fortissimo e spiazzante segno che si inscrive in una società malata: siamo tutti sul ciglio di un burrone personale e sociale dove al posto di una catena solidale, non ci sono remore a scavalcare, farsi largo per vie sempre più tortuose e avere potere uccidendo. Sia a livello individuale e sia nei gruppi di potere. C’è una criminalità dilagante in Italia, ma non nel senso di una frase fatta. I criminali non sono altro da noi. La criminalità è nello stile di vita, nei modelli che impregnano ogni aspetto esistenziale, nella volontà di imporre la propria legge persino a costo della vita altrui. Il gesto omicida ha assunto le modalità di una prassi per risolvere contenziosi, che siano affettivi (le donne falcidiate dagli uomini) o economici (lo sfruttamento allo stremo e senza regole del lavoro) o di conquista e controllo del territorio ( tutte le associazioni di stampo mafioso che sono le più pericolose per la possibilità eversiva che contengono e il rapporto con la politica). Ma il gesto omicida diffuso come epicentro della violenza nasce e cresce e prospera dove gli è concesso di farlo e talvolta addirittura ne viene invogliato. La bomba di Brindisi, la fine straziata di una ragazzina senza colpe è frutto della schiacciante superiorità di chi si fa forte di fronte a qualcuno che, solo perché si attiene al rispetto e alle regole civili, è già matematicamente debole. Il dolore autentico che dobbiamo tutti provare davanti a questa intollerabile morte obbliga a un enorme ripensamento dei modi in cui siamo immersi e stiamo vivendo.