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La Stampa: Al via la rottamazione dei dirigenti di STato

Pensione forzata dopo 40 anni anche per i vertici

18/07/2009
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La Stampa

Raffaello Masci

Rottamazione (anzi superrottamazione) dei dirigenti». La formula è di quelle che fanno pensare a un repulisti generale di Grand Comis, superdirettori, burosauri e parrucconi. Invece è solo una norma che introduce un principio (non si sa neppure con quali conseguenze pratiche) secondo cui, a un bel momento, anche i massimi vertici dello Stato devono lasciare il loro cadreghino, e far posto alle generazioni successive.
La questione inizia con il decreto 112 del 2008, quello della Finanziaria triennale. Lì si diceva - auspice il ministro Renato Brunetta - che un dirigente dello Stato che avesse 40 anni di contributi, anche prima del compimento del 65° anno di età, poteva (poteva - sia chiaro - non doveva) essere messo in pensione. Obiettivo: accelerare il turn over, liberare risorse, cercare di riassorbire i precari.
La norma però - osteggiata dagli alti vertici dell’amministrazione pubblica ma anche dai medici - fu modificata nel febbraio scorso con un emendamento dell’opposizione (presentato da Margherita Miotto, del pd) che introduceva un aggettivo sostanziale: i 40 anni di contributi dovevano essere «effettivi» e non «figurativi». In sostanza: uno per essere messo in pensione doveva aver lavorato 40 anni, senza contare il riscatto della laurea oppure l’anno di servizio militare. Brunetta promise: ripristineremo la norma di prima.
In effetti, ora, un emendamento al ddl anticrisi, presentato dal parlamentare del Pdl Remigio Ceroni, reintroduce i 40 anni di anzianità, comunque ottenuti. Quindi tutti i dirigenti pubblici che abbiano il massimo della contribuzione oppure abbiano raggiunto il sessantacinquesimo anno di età possono essere cortesemente congedati? Sì e no. Intanto la norma vale solo per tre anni (2009-2011) e poi ne sono escluse tre categorie di superprivilegiati: i magistrati, gli alti dirigenti medici, i professori universitari.
«La norma si applica dunque solo ai dirigenti dell’amministrazione statale in senso stretto - spiega Ceroni - e non fa altro ribadire un principio, quello dei 40 anni di contribuzione oppure dei 65 anni di età per mandare in pensione un dirigente, previo avviso di sei mesi. Di fatto non sappiamo quante persone incapperanno in questa provvedimento, dato che, normalmente, dopo 40 anni di contributi un dirigente ha già più di 65 anni di età, e quindi in pensione ci va, senza recriminare. Si è solo voluto dare all’amministrazione un strumento in più per accelerare il turn over».
Ma Margherita Miotto non si è arresa e, facendo sua la protesta dei medici ma anche degli insegnanti, ha fatto presente che «un professionista, medico, insegnante, ma anche funzionario, che si sia riscattata la laurea, può avere 40 di contributi a 58-60 anni e perché deve essere messo per forza in pensione, quando un suo collega docente universitario o primario ne viene esentato?». Insomma, la legge non è per tutti uguale «e perché deve valere - dice Miotto - solo per la fascia dirigenziale più bassa?».