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La Stampa: Alla scuola delle lingue tagliate

Al di là delle generiche affermazioni pro o contro la «riforma» Gelmini, sarebbe utile qualche dato concreto in più, in modo da permettere a tutti di stabilire da soli la veridicità di talune frasi con cui è stata presentata

18/06/2009
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La Stampa

Al di là delle generiche affermazioni pro o contro la «riforma» Gelmini, sarebbe utile qualche dato concreto in più, in modo da permettere a tutti di stabilire da soli la veridicità di talune frasi con cui è stata presentata. Quale dato oggettivo supporta, per esempio, il «potenziamento delle lingue straniere»? Dove si ha un effettivo incremento delle ore d’insegnamento di tale materia? Molti licei classici avevano già provveduto con le sperimentazioni a estendere le ore di lingua straniera anche al triennio, sopperendo alla lacuna dell’ordinamento scolastico. In tal caso non si avrà un potenziamento, ma l’adeguamento della norma a una realtà che la scuola aveva recepito già da anni: anzi, come accaduto alle sperimentazioni linguistiche della Media, è prevista una riduzione del monte-ore, perché nel triennio saranno impartite 2 lezioni la settimana invece delle 3 attuali! Le sperimentazioni, abolite dalla riforma, garantivano agli alunni anche in altri tipi di scuola superiore la possibilità di studiare due lingue straniere. Esclusi il linguistico e quello delle scienze umane, nei nuovi piani di studio dei licei la seconda lingua straniera appare solo come materia «opzionale» e «attivabile... nei limiti del contingente di organico»: significa che non verrà garantita la continuità dello studio delle lingue da un ordine di scuola all’altro.
Entro gli stessi limiti, per il quinto anno di ogni Liceo è previsto l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera (Clil): a tenerlo potrà essere un «docente abilitato in possesso di titolo di specializzazione» (tanto, che ci vuole?, basta che traduca nell’altra lingua quello che sa sulla sua materia ...), oppure un «docente che sia in possesso di titolo di laurea comunitario attestante la competenza disciplinare e che dimostri la necessaria competenza linguistica» (tanto, a che servono le competenze di didattica? Tutta zavorra...). Chi conosce la complessità dei processi di insegnamento-apprendimento, e nello specifico di quello linguistico, sa bene che non è così e che il provvedimento, di per sé interessantissimo, attuato senza una seria progettazione rischia di trasformarsi in burla.
Quale importanza attribuisce allora davvero il nostro ministero dell’Istruzione alla conoscenza delle lingue? Perché si rinuncia a impostare un piano di studi serio ed efficace per le lingue straniere? Come può una riforma «epocale» ignorare le raccomandazioni del Consiglio d’Europa? Non si tratta di scelte un tantino anacronistiche in tempi di enorme mobilità studentesca, professionale e turistica?
Paola Berzetti di Buronzo
47 anni, docente di lingua tedesca, Trieste