La Stampa: Allarme università, fuggono le matricole
Crollo continuo: 50 mila iscrizioni in meno negli ultimi quattro anni
La delusione Il diploma perde fascino: non è più una garanzia per trovare il posto di lavoro subito e ben retribuito
La crisi Sono sempre meno le famiglie in grado di mantenere gli studi ai figli:e le «lauree brevi» non funzionano
FLAVIA AMABILE
Guido Fabiani Rettore Roma Tre: “Soltanto la qualità attira gli studenti”
La crisi è soprattutto al Sud: le regioni del Nord-Ovest sono in controtendenza
Si salvano gli atenei privati con un boom alla Luiss e alla Bocconi
Che cosa accade nelle università? Nulla di buono si direbbe a giudicare dagli ultimi dati sugli iscritti diffusi dal Ministero dell’Istruzione. A fine novembre del 2008 a decidere di affidare il proprio futuro ad un corso in un ateneo sono stati in 312.104, il 3,27 per cento in meno rispetto allo scorso anno, il calo più consistente degli ultimi sette anni. Negli ultimi quattro anni almeno cinquantamila diplomati hanno preferito il lavoro allo studio.
L’università è in crisi, insomma. E ad essere in difficoltà sono soprattutto le statali perché nelle facoltà private il numero degli iscritti è rimasto più o meno invariato da un anno all’altro ed è addirittura aumentato in alcuni templi come la Bocconi (il 5,1% in più) o la Luiss (il 14,7% in più).
Il calo è ormai costante dal 2002 in poi, anno dell’introduzione della formula del 3+2, delle lauree brevi. E quindi se a luglio si sono diplomati in 470 mila e sono ogni anno di più i giovani che terminano gli istituti superiori sono sempre di meno quelli che scelgono di continuare gli studi all’università. Che cosa fanno? Vanno all’estero, cercano lavoro, forse nulla. A essersi persi per strada in questi anni sono un bel po’ di ragazzi. Dopo una crisi nella prima metà degli anni Novanta, la propensione a proseguire gli studi era di nuovo aumentata dal 1999. Tanto per dare un’idea, nel 2001 i giovani passati dalla scuola all’università sono arrivati al 72,7%. Quest’anno sono scesi a poco più del 66%.
Il calo non è uguale in tutt’Italia né in tutte le facoltà o indirizzi di studio. In aumento gli iscritti nel Nord Ovest, (l’1,21%). Va male invece al Sud, dove il 6% in meno di giovani ha deciso di puntare alla laurea dopo il diploma. Siamo intorno al 3,91% nel Nord Est, dove Verona ha perso circa 600 iscritti (il 10,4%) e Padova oltre mille, il 9,5% in meno. Non c’è da stare più allegri nella capitale degli universitari, Bologna, dove si sono persi il 3,5% di iscritti. In Veneto aumenta solo Venezia con il 9,4% di Ca’ Foscari e il 10,3% della Iuav. E in Emilia aumenta solo Parma con il 4,9% in più. Crollano le iscrizioni all’Università per stranieri di Perugia (il 38,6% in meno) e anche a Roma e nel Lazio non va granché bene. La Sapienza resta l’Ateneo più numeroso d’Italia (23.710 matricole) ma perde il 6,4% di iscritti. A Tor Vergata il calo è dell’8,3% e persino alla Lumsa, università privata e cattolica, le matricole sono il 13,6% in meno.
Aumentano gli iscritti alle lauree scientifiche: sono soltanto il 3% del totale di chi decide di andare all’università, ma aumentano dell’1,4%. I più numerosi restano gli iscritti in Scienze dell’economia e della gestione aziendale con il 12% di immatricolati ma sono lo 0.3% in meno rispetto allo scorso anno. Al secondo posto le matricole di Giurisprudenza che calano del 2%. Sono in aumento, invece, corsi di studi più tecnici che rientrano nella fascia dell’«Ingegneria industriale» o delle «Professioni sanitarie».
Che cosa accade allora nelle università? «C’è una forte crisi - spiega Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil -. Non rappresentano più uno sbocco verso un mercato del lavoro in grado di soddisfare in termini di competenze. Sempre più giovani la vedono come qualcosa di inutile e preferiscono orientarsi verso qualcos’altro. A incidere in termini negativi è anche la crisi economica. Sono sempre di meno le famiglie in grado di permettersi di mantenere un figlio per un certo numero di anni agli studi universitari. Sarebbe necessario un profondo processo di riforma e di sicuro i tagli previsti dal ministro Gelmini renderanno anche più profonda la crisi degli atenei».
Daniele Checchi, professore di Economia politica alla Statale di Milano, spiega il calo andando indietro nel tempo fino al 2002, quando furono introdotte le lauree brevi. «Quell’anno i tassi di immatricolazione erano cresciuti moltissimo. Rendendo più breve la durata dei corsi, in tanti avevano pensato di poter riuscire a laurearsi. Con il passare degli anni, invece, si è capito che non era così facile come si credeva e quindi il numero degli iscritti è costantemente andato diminuendo. C’è anche un effetto dovuto alla crisi economica, gli incentivi previsti dal ministro Gelmini avranno effetto solo a partire dal prossimo anno».
All’Istat avevano previsto il calo già alla fine dello scorso anno scolastico. Ma immaginavano una diminuzione ancora più consistente, intorno al 5% circa. «Dopo una stagione di forte crescita delle immatricolazioni, dopo la riforma del 2002 la perdita è stata lieve ma costante. E’ la disillusione o fenomeno che ha coinvolto maggiormente gli studenti italiani rispetto all’università», spiega Paola Ungaro, responsabile del settore istruzione dell’Istat
www.lastampa.it/amabile
Guido Fabiani è rettore dell’Università Roma Tre. Mentre nel resto della capitale i dati sulle iscrizioni portano ovunque il segno meno, persino nelle private, lui può esibire un aumento del 9%, circa 500 studenti in più.
Sembra che a Roma la sua sia l’università più gettonata.
«E’ il risultato di un lungo lavoro compiuto, ad esempio sul piano delle infrastrutture e dei servizi. Possiamo offrire un posto a sedere a tutti gli studenti che frequentano, abbiamo migliorato molto le nostre biblioteche e disponiamo di una rete informatica superiore a molti atenei in Italia. Il wireless, ad esempio, copre il 90% dell’ateneo».
Siete riusciti anche ad aumentare il numero di iscritti in corsi di studio come Economia o Giurisprudenza che nel resto d’Italia vanno piuttosto male.
«Nelle facoltà più richieste governiamo l’accesso, abbiamo un tetto programmatico di matricole. A Giurisprudenza è di 1200 e a Economia di 800. Gli studenti sanno che all’interno di queste cifre possiamo garantire la massima qualità della formazione».
A vostro vantaggio avete l’età: Roma Tre è l’ateneo più giovane della capitale.
«Siamo nati sedici anni fa e abbiamo speso ogni euro dei finanziamenti avuti in passato».
E ora che il ministero ha tagliato i fondi?
«Adesso viene il difficile. Nel 2010 avremo seri problemi, dovremo chiudere prima la sera, risparmiare sull’elettricità e il riscaldamento».
Si può sempre provare a cercare finanziamenti privati.
«E dove sono in Italia i privati che investono nelle università? Non c’è un solo soggetto privato che abbia investito un euro se non in università socio-umanistiche private. L’unico esempio di ateneo scientifico su cui i privati hanno puntato è la Cattolica a Milano. Non esiste una sensibilità da parte dei privati, la voglia di investire nel futuro dei giovani, questo è bene che il ministero lo sappia». \5