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La Stampa:Epifani: “L’ultimo no? Non è stato il mio”

«Hanno cominciato a darci la colpa della rottura a trattativa ancora aperta». «Ora tocca al governo cercare un’altra soluzione in tutte le direzioni»

19/09/2008
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La Stampa

Il leader dei “duri”: da giorni sapevamo che tra gli imprenditori c’erano contrasti

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Se si facesse un referendum, tra i dipendenti dell’Alitalia, direbbero sì o no all’accordo?

«Un referendum sugli esuberi sarebbe stato improponibile. Non si può mettere chi mantiene il posto di lavoro contro chi lo perde. Ma sugli assetti contrattuali lo avevamo suggerito» risponde Guglielmo Epifani. Al termine di una giornata terribile, una cena fredda lo attende nella stanza delle riunioni, accanto al suo studio di segretario generale della Cgil.

Il movimento sindacale è lacerato. Corrono parole grosse: «follia», «il becchino dell’Alitalia».

«Lacerato? E perché? Sarebbe stata una spaccatura grave, con Cisl e Uil, se avessimo detto di no. La Cgil, per la parte che le competeva, l’accordo con la Cai lo ha firmato».

Mi spieghi bene che cosa avevate firmato.

«E’ una questione elementare di rappresentanza sindacale, direi di democrazia. Abbiamo firmato per il personale di terra, perché tra il personale di terra i sindacati favorevoli a firmare, ossia Cisl, Uil, Ugl e noi, rappresentano più del 51% dei lavoratori. Per il personale di volo non è così. Non si può firmare un accordo separato se si rappresenta meno della metà dei lavoratori».

L’Alitalia è un’unica azienda. Se fallisce, fallisce tutta.

«Però ha avuto fin qui tre diversi contratti di lavoro. Il referendum che proponevamo aveva anche lo scopo di sottoporre al giudizio dei lavoratori il passaggio a un contratto unico. Le nostre responsabilità ce le siamo prese. Non è mai facile firmare accordi che comportano la perdita di tanti posti di lavoro. In concreto le teste, le persone che uscivano, potevano essere 4000».

Allora siete caduti in una trappola.In questa situazione si può scaricare la colpa sulla Cgil.

«Trappola? Hanno cominciato a dare la colpa a noi prima che la trattativa fosse finita. Una trattativa strana, anomala, dove ogni giorno si dava un ultimatum e tra un giorno e l’altro non si lavorava, specie sui problemi dove esistevano distanze più ampie. Insomma c’era un clima di strumentalizzazione. Uno scaricabarile indegno di un paese civile. Piuttosto che cercare capri espiatori, il presidente del consiglio e il governo si assumano le loro responsabilità per come hanno gestito tutta la vicenda».

Le parevano giustificate le richieste dei piloti?

«Su piloti e assistenti di volo, come Cgil siamo stati chiari. Anche loro si dovevano fare carico della rinuncia a certe forme di privilegio. Qualsiasi società non può tollerare che esistano al suo interno poteri di comando diversi da quelli dei suoi dirigenti».

Per l’appunto Colaninno voleva togliere ai piloti certi poteri esercitati in modo corporativo.

«Però in una compagnia aerea i piloti sono fondamentali. Non si può fare a meno di chi gli aerei li conduce».

Nelle ultime ore a qualcuno il vostro atteggiamento è parso incerto. La vostra federazione di categoria, la Filt, ha firmato un documento comune con i sindacati del fronte del no.

«Era un tentativo estremo di allargare il consenso; e ne avevo avvertito l’ingegner Colaninno. La posizione finale della Cgil è quella del suo segretario generale, espressa nella lettera che ho inviato a Colaninno».

Non gliela poteva inviare un po’ prima?

«L’ho spedita alle 13.30, annunciandogliela per telefono. Mancavano più di due ore alla scadenza dell’ultimatum. Era inequivoca».

Ma allora perché è andato tutto a rotoli?

«Io credo che sia stata la Cai a tirarsi indietro. Si sono accorti che non riuscivano a risolvere il problema del personale di volo. Il clima sociale all’interno dell’azienda si era surriscaldato. Già da qualche giorno trapelava che all’interno della cordata c’erano contrasti; deve aver pesato anche la crisi finanziaria mondiale».

Gran parte degli economisti, a destra come a sinistra, hanno giudicato migliore la proposta di Air France della primavera scorsa. E anche molti lavoratori Alitalia.

«Aveva dei vantaggi come degli svantaggi. Noi di pregiudiziali non ne avevamo».

Che farete ora?

«L’azionista di maggioranza di Alitalia, ovvero il governo, ha il dovere di tentare tutte le strade che consentano di trovare una soluzione. In tutte le direzioni, quelle che c’erano e sembra non ci siano più, e quelle nuove che si possano trovare. Il fallimento dell’Alitalia sarebbe un dramma non solo per i lavoratori ma per l’intero paese. Non credo che far venire giù le macerie possa servire a qualcuno».