La Stampa: L’esercito dei professori fantasma
Sono 140 mila, tra permessi e distacchi. La voragine Rappresentano il doppio dei supplenti: «solo» nell’8% dei casi stanno lontani dalla cattedra per malattia. L’emergenza Un boom di permessi sindacali e molti devono aggiornarsi A volte si usufruisce del doppio stipendio
FLAVIA AMABILE
ROMA |
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In Italia un professore su sette non è in cattedra, ma altrove. E ha un motivo valido per farlo. Anzi, ne ha almeno 20: tante sono le forme di assenze previste, concordate, regolari. E, quindi, su un totale di 716.297 docenti nelle scuole statali, 142.558 non erano in classe. E’ un esercito di professori, il doppio dei supplenti, che sono 74.500. Ed infatti i dirigenti scolastici ogni mattina si trovano a sostituire 68 mila assenti per una media di 6 ogni scuola.
Ad aver elaborato le cifre è l’Asasi, associazione delle scuole autonome siciliane, sulla base degli ultimi dati resi disponibili dal Miur, riferiti all’anno scolastico 2006/2007. E il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini avverte: «E’ una situazione che stiamo esaminando. Alcune tipologie non trovano alcuna giustificazione. I professori devono tornare in cattedra e presto interverremo in questo senso».
L’elenco prevede innanzitutto un tasso di assenteismo per malattia dell’8%, pari a 57.304 professori. E’ una cifra pre-Brunetta, quindi per quest’anno il numero dovrebbe ridursi almeno un po’. Degli assenti, quasi uno su 10 non va in classe per partecipare a un’assemblea sindacale convocata durante l’ora di lezione (12.059). Altra cosa sono i sindacalisti esonerati: 1085 professori. Altra cosa ancora sono i «Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza»: ognuno di loro ha 40 ore di permesso sindacale e quindi - calcola l’Asasi - «il costo per la loro sostituzione equivale a 840 cattedre di docenti assenti e l’Aran nel concedere in sede di contratto questi esoneri non ha pensato a come operare la sostituzione né a come pagarla». Infine ci sono le «Rappresentanze sindacali unitarie», e sono altri 1891 docenti che ne usufruiscono.
I professori possono essere assenti anche perché eletti in un consiglio municipale, o alla Provincia, alla circoscrizione o in altri mandati. In questi casi lo stipendio scolastico si assomma a quello del nuovo incarico. Anche se si resta in carica per cinque anni ogni mese l’eletto deve comunicare se intende tornare in classe oppure no per il mese seguente. E quindi diventa impossibile dare un incarico ad un supplente per un intero anno, ma ogni mese la scuola chiama un supplente e ripetere da capo la procedura. A usufruirne sono 890 docenti.
Ci sono poi 1760 professori distaccati in enti come gli Irre, gli Istituti di ricerca regionali, che il ministero voleva sopprimere e che ora non è del tutto chiaro che cosa facciano. Oppure sono distaccati all’Invalsi, l’ente che si occupa della valutazione delle scuole, o all’Indire, oggi chiamato Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica. Ma ci sono anche 700 professori «comandati» sempre come supporto all’autonomia presso i Provveditorati.
Ci sono anche 160 professori distaccati al ministero dell’Istruzione come funzionari e altri 200 che invece non salgono in cattedra, perché fanno parte di varie associazioni che si occupano di scuola.
I professori devono aggiornarsi: hanno 150 ore l’anno, un quinto delle ore di insegnamento, da utilizzare per prendere una seconda laurea o un master. Ad aver usufruito di esoneri per diritto allo studio sono stati 5358. Ma chi vuole frequentare un dottorato di ricerca ha diritto ad un esonero a parte, due anni lontano dalla cattedra, stipendio garantito: ne hanno usufruito in 950. Oppure possono scegliere di frequentare una Siss, la scuola di specializzazione universitaria: l’hanno fatto in 1040. Sono 2610 quelli che vengono distaccati per malattie gravi, non sono più in grado di reggere lo stress o l’impegno delle lezioni in classe e quindi vengono ricollocati in segreteria o in biblioteca. Di fronte alle cifre l’Asasi denuncia: «E’ necessario tornare alla centralità dell’insegnamento frontale: Da un discorso sulla quantità è giunto il momento di passare ad uno sulla qualità», spiega Roberto Tripodi, presidente dell’associazione. |