La Stampa: La rivolta delle università del Sud
I rettori chiedono nuovi criteri di valutazione che ribaltano la graduatoria dei "virtuosi"
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]ANDREA ROSSI
ROMA
«La classifica del ministero non è affatto basata su criteri di merito». In una riga, scritta dal rettore dell’Università Federico II di Napoli Guido Trombetti, c’è un mondo in tumulto, che ora minaccia di creare un bel po’ di grattacapi al ministro dell’Istruzione Gelmini. C’è la rivolta delle università del Sud, relegate al fondo della classifica dei migliori atenei, pubblicata a fine luglio, su cui adesso i rettori di mezza Italia sparano bordate. Altro che merito, accusano, qui si è voluto penalizzare il meridione a vantaggio del Nord.
Il paradosso è che a scatenare la contesa è stato un uomo del Nord. Gino Ferretti, rettore dell’Università di Parma, qualche giorno fa ha pubblicato una contro-classifica che sovverte la graduatoria del ministero, che assegnava i primi tre posti a Trento e ai Politecnici di Torino e Milano. «Quella classifica - dice Ferretti - è stata ottenuta applicando correttivi contabili (soldi per la mobilità del personale, soldi per gli aumenti, stato dei conti) che con il merito non hanno nulla a che vedere». Nella nuova lista elaborata a Parma - che ha usato gli stessi parametri del ministero, senza i calcoli contabili - esce un mondo alla rovescia: Bologna, che era sedicesima, diventa prima e Trento retrocede al diciannovesimo posto. La Sapienza di Roma passa da 42esima a seconda, la Federico II di Napoli da 48esima a quinta, Bari da 39 esima a dodicesima, Catania da 38esima a tredicesima e Palermo da 52esima a sedicesima. Ce n’è abbastanza per far sbottare le università del meridione. «Ora bisogna fare chiarezza», insiste Trombetti. «E comunque la nuova graduatoria non mi sorprende affatto: rispecchia le grandi classifiche internazionali».
Anche la Cgil e l’Unione degli studenti accusano il governo: sulla base di quella tabella sarà distribuito il 7 per cento del fondo di finanziamento ordinario. Niente soldi nuovi, solo un «tesoretto» sottratto nella stessa misura a tutti e ridistribuito premiando i più virtuosi. Accade però, ad esempio, che La Sapienza - che sembra essere la seconda quanto a qualità di didattica e ricerca - si sia vista sfilare oltre 40 milioni di euro e ne riceverà indietro appena 33,5. «In futuro voglio che le cose siano fatte bene - dice ora il rettore Luigi Frati -. Nelle commissioni che hanno lavorato sulla classifica, tra chi valutava, c’era anche qualche destinatario dei fondi. E questo non va bene. C’erano nomi importanti dei politecnici che, non a caso, sono andati bene».
Tutto il Sud esce penalizzato: Messina e Palermo ci rimettono sei milioni ciascuna, la Federico II e la seconda Università di Napoli tre a testa, Catania due, Cagliari 1,8. Difficile trovarne una che si salvi.
Tutte in perdita, l’esatto contrario di quel che accade al Nord. Tanto basta a scatenare una mezza rivolta. Il rettore di Roma Tre Guido Fabiani parla di «danno d’immagine». E aggiunge: «Giusto valutare, ma le cose vanno fatte sul serio». Anche a Bari masticano amaro. I conti non tornano, manca quasi un milione: «Quella classifica è stata frutto di un’operazione distorta», analizza il rettore Corrado Petrocelli. «Chiederemo che vengano cambiati i criteri, perché questi non sono né condivisi, né oggettivi, né affidabili».
L’accusa pende sui tecnici del ministero: per valutare la ricerca negli atenei sono stati usati i dati del 2001 e del 2003, storia di sei-otto anni fa; si sono messe sullo stesso piano università con 60 mila studenti e altre con 6 mila; i politecnici che hanno due sole facoltà e gli atenei con tredici o più; istituzioni nate 300 anni fa con edifici storici e altre aperte da poco. «Hanno calcolato quanti studenti acquisiscono 40 crediti alla fine del primo anno. E questo sarebbe indice di qualità? Basterebbe non fare selezione e non bocciare nessuno agli esami», denuncia Petrocelli. «E ancora: che senso ha valutare la qualità calcolando quanti laureati trovano lavoro senza considerare il contesto territoriale? Ci sono realtà il cui la disoccupazione è al due per cento, altre dove è al venti». |