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La Stampa: Lo Stato si riprende i soldi per la ricerca

Il meccanismo Si chiama «perenzione»: il Tesoro riassorbe i finanziamenti anche se il progetto non è concluso. Tutti d’accordo La norma voluta da Padoa-Schioppa ora viene applicata anche dal governo Berlusconi Milioni di euro «sottratti» . “Dopo tre anni fondi scaduti”. Le università: “È un trucco”. Una tagliola burocratica

07/06/2009
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La Stampa

Luciano Maiani Presidente Cnr «È un sistema capestro, può succedere solo in Italia»

RAPHAËL ZANOTTI

TORINO

QUOTAZIONE REND.
Utlima Prec 12 mesi
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QUOTAZIONE REND.
Utlima Prec 12 mesi
Professor Luciano Maiani, lei dal 2008 è presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’ente che raccoglie 107 istituti di ricerca italiani. Cosa pensa della perenzione?
«Rischia di diventare una trappola per la ricerca scientifica».
Quali sono i suoi effetti?
«La misura dei tre anni non è adeguata alla realtà della ricerca. Passa almeno un anno tra il bando e l’assegnazione. Senza contare che molti progetti superano i tre anni e comunque hanno strascichi di spesa anche oltre la fine del progetto. Si tratta di una norma capestro».
C’è pericolo per i progetti del Cnr?
«Diciamo una diffusa preoccupazione. Abbiamo circa 10 milioni caduti in perenzione. Una cifra grossa, importante, inquietante, ma non determinante. Per fortuna il Cnr ha altre fonti di finanziamento, penso che per le università la situazione sia più grave».
Lei ha diretto per dieci anni il Cern di Ginevra. Che differenze ci sono tra la ricerca in Italia e quella all’estero?
«I tagli ci possono sempre essere, soprattutto in programmi grossi come la costruzione dell’acceleratore Lhc. Ma nella mia esperienza di progetti internazionali non ho mai visto accadere cose del genere, che i soldi spariscano a progetto già stanziato e in corso».
Nota disattenzione da parte del governo?
«Abbiamo la netta sensazione che la questione sia più grande e non investa solo la ricerca, ma chiunque lavori per la pubblica amministrazione. Certo per parte nostra siamo preoccupati anche perché molti nostri progetti stanno arrivando a rendicontazione adesso». \ QUOTAZIONE REND.
Utlima Prec 12 mesi
Perenzione amministrativa
Si tratta di un istituto della finanza amministrativa: se i fondi stanziati non vengono utilizzati, dopo un tot di anni il ministero del Tesoro se li riprende. Prima della Finanziaria 2008 il termine scattava dopo sette anni. Il governo Prodi ha ridotto il periodo a soli 3 anni.
I fondi Firb
Si tratta del Fondo per gli investimenti della ricerca di base, il principale strumento che ha la finanza pubblica per erogare fondi a quella ricerca slegata da applicazioni di tipo concreto. Molti istituti di ricerca, ma soprattutto università vivono con il fondo.

Rassegnazione
Per riavere i fondi caduti in perenzione l’iter è lungo. Il ministero competente emette un decreto destinato alla Ragioneria generale dello Stato che, dopo un suo parere positivo, lo restituisce al mittente per una nuova richiesta al ministero dell’Economia. Dopo la predisposizione del decreto a firma del ministro, lo stesso viene trasmesso alla Corte dei Conti per la registrazione. Solo dopo la restituzione alla Ragioneria generale dello Stato, quest’ultima lo trasmette al ministero competente per l’ulteriore richiesta, sempre alla Ragioneria, della «materializzazione della moneta».
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Utlima Prec 12 mesi
È la più grande illusione ottica contabile degli ultimi anni: il giorno prima i soldi ci sono, stanziati e autorizzati, il giorno dopo sono spariti dal bilancio, indisponibili. Questo particolare fenomeno di «smaterializzazione» è oggetto di studio, da alcuni mesi, di tutti gli scienziati italiani che non capiscono dove sono finiti i soldi destinati ai loro progetti Firb, il Fondo degli investimenti per la ricerca di base. Dal 2000 a oggi il ministero dell’Università e della Ricerca ha finanziato con questo strumento decine di programmi, ma dopo le prime tranches non è più arrivato un euro. Perché, visto che i fondi erano a bilancio?
In gergo ministeriale si chiama «perenzione amministrativa», uno dei prodotti più curiosi della fervida burocrazia italica. Questo «virus» colpisce qualunque stanziamento. Se entro tre anni dall’assegnazione i soldi non sono usati, lo stanziamento muore. Ovvero ritorna al ministero del Tesoro, che lo incamera e lo usa come più gli aggrada. Riassegnarlo per terminare quel che si era cominciato è a totale discrezione del dicastero guidato da Giulio Tremonti. Il quale però, a quanto pare, non ha alcuna intenzione di mollare l’osso.
Peccato nessuno abbia pensato che i progetti Firb durano tre, quattro, cinque anni. Per quelli più lunghi si sarebbe comunque sforato. Ma anche per i triennali non c’è scampo: qualunque progetto di ricerca ha bisogno di almeno un anno, tra autorizzazioni, bandi e concorsi, prima di partire.
Risultato: scaduto il termine, i soldi sono tornati a Tremonti. Dal ministero parlano di circa 240 milioni e tutta la ricerca di base italiana è a terra. Agli scienziati è stata fornita una macchina con l’indicatore che segnava «pieno». Poi è stato detto loro: «Partite». E dopo un chilometro l’auto si è fermata perché mancava la benzina.
«Ma io questi ricercatori li ho già assunti e li stiamo pagando da due anni» è la protesta Ivano Bertini, direttore del Centro europeo di risonanze magnetiche di Sesto Fiorentino. Per il suo progetto sono «spariti» due milioni di euro. «Quasi quasi fallisco, compro macchinari, faccio debiti e non li pago» è la sua provocazione.
Sergio Benedetto, direttore del Dipartimento Elettronica del Politecnico di Torino, è in una situazione diversa. Il suo «Primo», un progetto sulle piattaforme wireless riconfigurabili, ha ottenuto il finanziamento Firb più cospicuo: 11,2 milioni di euro. Coinvolgeva tre università, un centro di ricerca e quattro industrie. È terminato con esiti positivi nel 2006 ma ancora non è stata saldata l’ultima tranche: mezzo milione di euro. «Il ministero non sta onorando i suoi impegni - dice Benedetto -. Ho scritto una lettera al ministro sollecitando una soluzione. Sto facendo i salti mortali per riuscire a trovare i soldi e pagare gli stipendi ai ricercatori che abbiamo assunto».
Stessa sorte per altri colleghi, anche di profilo internazionale. L’Ebri, il centro di ricerca sul cervello messo in piedi nel 2004 dal Nobel Rita Levi di Montalcini, ad aprile aveva ricevuto solo 3 dei 20 milioni promessi. E il Cnr, l’ente che raccoglie 107 istituti di ricerca del Paese, «piange» non meno di dieci milioni.
Gli atenei, già falcidiati dai tagli, sono alla frutta. «L’Università di Milano ha fondi caduti in perenzione per 6 milioni», spiega Angelo Casertano della Divisione servizi per la ricerca dell’Università di Milano. E Claudio Borio, suo omologo dell’Università di Torino, incalza: «Noi siamo a 2,7 milioni». Il presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, Enrico Decleva, il 16 marzo scorso ha tentato di giocarsi l’ultima carta scrivendo un’accorata lettera al ministro Gelmini nella quale sollecitava la riassegnazione dei fondi.
L’unica possibilità per rientrare in possesso di quei soldi è infatti accedere al «fondo speciale per la riassegnazione dei residui perenti delle spese in conto capitale» del Tesoro. Ma, dicono dal Miur, «quel fondo è totalmente insufficiente».
Secondo un’interpellanza presentata dal senatore del Pdl Antonio Paravia (che parla apertamente di «falso nel bilancio pubblico») i fondi caduti in perenzione ammontano a 27 miliardi di euro, praticamente due leggi finanziarie. Le fatture impagate raggiungevano a ottobre gli 8 miliardi mentre il fondo speciale, pur implementato di 900 milioni, è finito nel giro di un mese viste le richieste.
Anche Alfonso Andria del Pd ha presentato un’interpellanza ma come il collega di maggioranza non ha ricevuto risposte. Le loro sono voci fuori dal coro. La perenzione amministrativa è un tabù bipartisan. Per il centrosinistra l’argomento è scomodo. L’attuale situazione è dovuta a una norma introdotta dall’ex ministro Tommaso Padoa-Schioppa nella Finanziaria 2008 che ha portato la perenzione da sette a tre anni.
La maggioranza, dal canto suo, non modifica la norma perché se dovesse tirare fuori oggi quella montagna di denaro, perderebbe punti di Pil. Il che non sarebbe benvisto in Europa. Così l’illusione ottica contabile continua. E miete vittime in molti settori, non solo nella ricerca. Il meccanismo, infatti, si applica a qualunque stanziamento. Imprese che lavorano con la pubblica amministrazione, fondi per l’imprenditoria che si svuotano di colpo, opere stradali senza finanziamenti, commesse mai pagate: in molti stanno facendo la spiacevole conoscenza con la perenzione amministrativa. La presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha posto il problema nella riunione del 20 maggio, ma per ora nulla si è mosso.
Al professor Umberto Di Porzio, ultimo in ordine di tempo a veder «perire» 750.000 euro del suo progetto internazionale di tre anni sulla biogenetica, non resta che sfogarsi: «Mentre il governo fa finta di ridurre il debito pubblico i miei contratti per i giovani vanno in fumo. Stiamo facendo una figuraccia internazionale. Gli eminenti colleghi inglesi, americani e canadesi non riescono a capire cos’è la perenzione. D’altra parte come dar loro torto?».
raphael.zanotti@lastampa.it