La Stampa: Pagelle alle scuole
È questo il maggior merito della ricerca condotta dalla Fondazione Giovanni Agnelli, che ieri ha presentato la prima parte di un’approfondita indagine sugli istituti superiori, quella che riguarda il Piemonte
Luigi La Spina |
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Onore al coraggio. Quello d’averci provato e d’essere riusciti a dimostrare che le scuole italiane si possono valutare dai risultati. Quindi si può incominciare a premiare presidi e professori più bravi. Perché non è giusto che l’appiattimento retributivo e di carriera non distingua meriti tra coloro ai quali deleghiamo il futuro dei nostri giovani e del Paese.
È questo il maggior merito della ricerca condotta dalla Fondazione Giovanni Agnelli, che ieri ha presentato la prima parte di un’approfondita indagine sugli istituti superiori, quella che riguarda il Piemonte. Scopo fondamentale dell’iniziativa è quello di classificare le scuole della regione secondo la capacità di preparare i propri allievi agli studi universitari. Un criterio che non esaurisce le funzioni che devono esercitare, perché non considera, per esempio, il compito di preparazione professionale e di educazione civile degli studenti, ma che, comunque, costituisce un buon indice di giudizio sul loro valore.
I risultati specifici, istituto per istituto, possono e devono essere discussi. I criteri con cui sono state eseguite le graduatorie, depurandole dai fattori che non dipendono dalla scuola, si possono valutare in maniera diversa. Gli esiti possono variare secondo gli anni considerati e, quindi, una certa casualità può anche essere ammessa. Ma le indicazioni generali per le famiglie che devono scegliere la scuola per i loro figli, per i presidi e i professori che vogliono misurare gli effetti del loro lavoro, per il ministero che dovrebbe trarne qualche conclusione, sono sicuramente importanti.
Si possono formulare sostanzialmente tre osservazioni su questa ricerca a proposito degli istituti superiori piemontesi. La prima, forse la più inaspettata, premia il valore delle scuole che preparano gli studenti di provincia. È probabilmente vero che il controllo sociale sugli allievi, esercitato in questi territori, è maggiore rispetto a quello che avviene in città. È vero che in provincia è più gravoso, anche in termini di costi, iscrivere un ragazzo all’università e, perciò, c’è un’autoselezione che screma i più bravi e più impegnati nello studio. Ma il giudizio su quei presidi e quei professori rende merito a una professionalità e a una dedizione che spesso vengono trascurate e ingiustamente non valorizzate, anche in termini di carriera.
La seconda indicazione conferma, almeno per quello che riguarda il territorio piemontese, una tradizione di eccellenza per gli istituti tecnici. Anche in questo caso, la scelta, tra gli allievi, di chi prosegue gli studi e non entra subito nel mondo del lavoro può aver favorito l’ottima classifica. Non si può negare, però, che gli studenti di queste scuole siano stati messi in grado di sostenere l’impegno universitario senza scontare gravi handicap rispetto ai colleghi che escono dai licei.
Ultima impressione generale è quella dell’assoluta centralità della scuola pubblica per la selezione delle future classi dirigenti del nostro Paese. Tranne qualche significativa ma isolata eccezione, gli istituti non statali sembrano puntare prevalentemente sul recupero degli studenti in difficoltà, per varie ragioni. Il conseguimento a tutti i costi del diploma, a scapito della preparazione per proseguire gli studi, pare il loro obiettivo privilegiato. È chiaro che l’indagine e la classifica compilata dalla Fondazione Agnelli costituiscono solo un tassello di quella più ampia valutazione che deve comprendere anche altri criteri di giudizio sulla scuola italiana. La ricerca si dovrà affiancare, per esempio, a quelle internazionali dell’Ocse sulla preparazione comparativa dei nostri studenti. Ma le critiche e le obiezioni non devono servire al solito alibi nazionale, quello che permette di lasciare le cose come stanno. Con grande comodità di tutti quelli che hanno paura della competizione, dell’ipotesi di essere misurati sull’impegno e sul valore del loro lavoro. Come è successo per l’università, dove la famosa agenzia di valutazione indipendente per gli atenei è rimasta, ovviamente, solo nella lista delle buone intenzioni. |