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La Stampa: Sono stufa di respingere le offerte dall'estero

Ottocento ricercatori tirano in questi giorni un respiro di sollievo: verranno finalmente assunti, dopo essersi presi - però - uno spavento non da poco.

16/11/2008
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La Stampa

RAFFAELLO MASCI

ROMA

Ottocento ricercatori tirano in questi giorni un respiro di sollievo: verranno finalmente assunti, dopo essersi presi - però - uno spavento non da poco. Infatti, dopo una vita di precarietà e una lunga esperienza di studio, l’ultima finanziaria del governo Prodi stabiliva il loro inserimento in ruolo. Ma poi è arrivato il nuovo governo e questa prospettiva è stata subito bloccata. Ora, dopo scioperi, pressioni e tutto quanto le piazze hanno registrato in questi giorni, i ministri Brunetta e Gelmini hanno assicurato che tutto resta come promesso e tutti verranno imbarcati entro i prossimi mesi. Ma se questi 800 possono gioire, per 8 mila si apre un limbo pieno di incognite. Dei 18 mila scienziati italiani attivi negli enti pubblici di ricerca, infatti, quasi la metà non è precario, è di più: effimero. Chiara Boschi, 34 anni - ricercatrice dell'Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr di Pisa, dopo esserlo stata al politecnico di Zurigo - è uno di questi «fantasmi».
Ci spiega, dottoressa, la sua posizione e quella dei suoi compagni di avventura?
«Negli enti pubblici di ricerca si lavora con il contratto proprio del settore, ma questo inquadramento riguarda solo un po’ più della metà dell’organico. Per tutti gli altri ci sono i contratti atipici: co.co.co., a progetto, a prestazione d’opera, con borsa di studio, con assegno, eccetera. Il che vuol dire che si può lavorare tre mesi per tre mesi, sei mesi per sei mesi o anno per anno quando ti dice bene. Ma anche solo per un progetto, finito il quale arrivederci. E si può lavorare a tempo pieno o part time, cioè a 1.200 euro, ma anche a frazione di questa cifra».
E chi sono questi ricercatori?
«Un esempio? Una mia collega ha una laurea in medicina, due specializzazioni, un lungo periodo di ricerca a Londra prima e a New York poi. Ha 44 anni e prende 800 euro. Poi ci sono quelli più fortunati, come me, che ho un assegno ma fino alla fine del 2009. Poi chissa?»
E’ così scandaloso che un contratto finisca?
«No, ovviamente. Ma io ho la mia vita, una bambina, dei progetti, e per fare bene la ricerca devo essere messa in una condizione di serenità, che può anche significare un contratto a termine ma pagato, allora, molto meglio. Sennò sarò sempre nell’ansia di dover cercare qualcosa per dopo, e questo certo non giova alla qualità del mio lavoro».
Come si vive da precario?
«Male: pochi soldi, nessuna prospettiva, nessuna possibilità di comprarsi una casa, ristrettezze su tutto e progetti di brevissima gittata. Senza dire che se sto male per 30 giorni, il contratto si chiude lì».
Il ministro Gelmini vuole introdurre la valutazione, la meritocrazia e stabilire la fine delle baronie parassitarie...
«Non vedo come non si possa essere d’accordo. Ma intanto ha tagliato i fondi e se mancano i soldi i primi a saltare chi sono? I baroni o noi?»
Cosa vede nel suo futuro?
«Io adoro il mio lavoro e il mio Paese. Ma se l’andazzo è questo credo che non potrò rifiutare le offerte che mi vengono dall’estero».