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La tentazione dei tutor privati

Il rischio è che chi può tenga i ragazzi a casa

01/09/2020
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la Repubblica

Chiara Saraceno

Di fronte alla incertezza che perdura su quando e a che condizioni riapriranno le scuole e che cosa succederà – a quella classe, o a quella scuola – al primo caso di contagio, si diffonde la tentazione dei genitori di fare da sé. C’è chi, soprattutto dopo l’esperienza della didattica a distanza che di fatto ha costretto molti genitori degli scolari più piccoli a surrogare o integrare gli insegnanti, pensa di passare tout court alla educazione parentale, diventando insegnante dei propri figli.

Chi è meno fiducioso nelle proprie capacità di insegnante, o con meno tempo (e più mezzi) pensa di assumere insegnanti privati, eventualmente dividendo la spesa con altre due-tre famiglie. È un fenomeno di nicchia, ma non va sottovalutato come indizio di un processo di delegittimazione della scuola come essenziale spazio e relazione educativa, che non può essere sostituita dal più amorevole, competente, didatticamente innovativo genitore e neppure da un precettore privato.

Eppure, la lunga chiusura delle scuole aveva reso evidente, innanzitutto alle bambine/i e adolescenti, quanto la scuola non sia solo trasmissione di saperi disciplinari, ma luogo di relazione, confronto, collaborazione e mutuo apprendimento con persone diverse da sé e dai familiari. Lo stare in contesti educativi extrafamiliari è un’esperienza importante fin dai primi anni di vita, che va incentivata e valorizzata.

L’importanza anche sul piano cognitivo delle relazioni che nella scuola si instaurano è ben nota agli insegnanti più attenti, che hanno utilizzato la didattica a distanza anche per incentivare la collaborazione tra pari nell’esecuzione di una ricerca o di un progetto, evitando che diventasse, come è successo in molti casi, lo spazio di una relazione unidirezionale e atomizzata. Purtroppo i discorsi di queste settimane sulla ripresa, tutti incentrati esclusivamente sui bisogni di sicurezza e sui rischi dello stare insieme (solo a scuola, però), di fatto sembrano negare proprio questo aspetto della scuola. La rappresentazione che ne esce è una estremizzazione della didattica frontale: ciascuno al proprio banco ad ascoltare, e parlare solo se interrogato. Ogni contatto, quindi anche ogni collaborazione, è un rischio da evitare. La stessa ricreazione è un potenziale rischio da contenere. Tanto vale, si dicono i genitori (che ne hanno i mezzi), farsi la scuola in casa.

I fautori dell’educazione parentale, tuttavia, non sono esclusivamente motivati da problemi organizzativi e di sicurezza. Spesso rivendicano una maggiore attenzione ai ritmi e agli interessi dei propri bambini e ragazzi, una didattica più aperta e più flessibile di quella tradizionale. Ma, mentre non aiutano i figli a imparare a confrontarsi con altri interessi e altri ritmi, rischiano di presentarsi ai loro occhi come educatori totali e totalizzanti, mescolando appunto il ruolo di genitore e quello di insegnante entro lo spazio stretto della famiglia. Perciò non aiutano i figli a distinguere i diversi ruoli, a muoversi tra soggetti educativi differenti, che pure è un compito evolutivo importantissimo.


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