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La valutazione del merito degli insegnanti nella legge de “La buona scuola”: una storia italiana. Lettera al ministro

una storia di fantasia, ambientata in una delle tante scuole italiane

07/01/2016
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OrizzonteScuola

Signora Ministro Giannini, quella che sto per raccontaLe è una storia di fantasia, ambientata in una delle tante scuole italiane. Gli attori sono tre insegnanti che condividono nella stessa classe l’entusiasmante e faticosa esperienza dell’insegnamento/apprendimento affrontando una situazione particolarmente spinosa, aiutandosi reciprocamente nei momenti di difficoltà. Tutto bene? Non proprio. Perché è appena entrata in vigore la legge sulla cosiddetta “Buona scuola”, legittima sotto il profilo giuridico, ingiusta sotto il profilo degli effetti nefasti prodotti nell’azione insegnante, soprattutto in relazione ai benefici che potranno ricavare gli alunni dalla sua applicazione. Una storia difficile da raccontare, che vorrei rappresentarLe per quadri temporali.

La cronaca del tempo presente: Francesca lavora in una classe della scuola primaria con un bambino dotato di grandi potenzialità intellettive ed un comportamento oppositivo/provocatorio. Dal primo giorno di scuola ha messo alla prova le competenze professionali di Francesca e delle sue colleghe, Giovanna e Valeria. Tre professionalità, due in organico su posto normale, un insegnante di sostegno. Peccato che la classe sia composta da altre 24 bambine e bambini, dei quali uno disabile, che avrebbero diritto ad analoghe attenzioni, attualmente un po’ sacrificate. Le difficoltà sono tante, l’impegno richiesto anche. Ma tra colleghe ci si aiuta, non si lascia nessuno ad affondare in mezzo ai problemi. Si chiama lavoro di squadra. Professionalità diverse per formazione si amalgamano e si rinforzano vicendevolmente per garantire un servizio scolastico al meglio delle possibilità. Almeno, questa è la filosofia alla base del lavoro di insegnanti fino ad oggi… anzi, no, fino a ieri.

Una cronaca dal tempo futuro: provo ora a fare un esercizio un po’ bislacco, trasportare la situazione appena descritta in un tempo futuro, caratterizzato dalla legge di riforma della scuola da poco approvata, che pone alla base della valorizzazione di chi lavora l’adozione di criteri per decidere chi sia da premiare e chi no. La situazione è sempre la stessa, un bambino speciale con richieste di attenzioni speciali, due insegnanti di posto comune, un insegnante di sostegno, una classe di 25 alunni. Ma la dinamica potrebbe essere molto diversa dalla cronaca del tempo presente appena descritta, perché le tre insegnanti in questo caso non formano più un team che amalgama le risorse individuali, ma diventano concorrenti, trasformando gli alunni in strumenti per vedersi assegnato il premio. Detto in altri termini vorrebbe dire che Francesca, insegnante della classe X, potrebbe trovarsi a sperare che la qualità del lavoro delle sue colleghe sia inferiore alla propria, ed altrettanto potrebbero fare Giovanna e Valeria… Vedo già il commento infastidito di qualcuno che mi rimbrotta, perchè uno dei criteri per essere premiati potrebbe essere proprio lavorare in squadra, ed ecco salvaguardata, per magia, la pratica del lavoro in team. Già, potrebbe. Almeno per il lavoro nella singola classe. Ma è presente un tranello. Perché in questo caso la gara per accaparrarsi il premio si sposterebbe dalla competizione fra insegnanti della stessa classe alla competizione tra le classi, dove la speranza, ancora una volta, sarebbe che le colleghe della classe accanto lavorino meno bene della loro. Con buona pace delle riunioni di interclasse, di interplesso, dei dipartimenti, dei progetti comuni, dove qualcosa suggerisce che sarebbe improbabile vedere insegnanti/concorrenti mettere a disposizione di altri soluzioni utili all’assegnazione del premio. “Ma questo non capiterà mai”, potrebbe ancora indignarsi qualcuno, “le regole saranno stringenti e formali”. Piano, con calma, non così di fretta. Le nostre realtà scolastiche hanno insegnato che qualsiasi regola può essere elusa proprio a causa del suo essere stringente e formale. Voglio spiegare meglio quanto espresso con un’altra cronaca, non ipotetica ma reale, nel senso che qualsiasi collega può ritrovarla frugando all’interno della propria storia professionale;

La cronaca dal tempo passato: ultimo giorno di contrattazione sindacale per la destinazione del fondo di istituto, il piccolo “tesoretto” messo a disposizione annualmente dal Ministero all'Istruzione delle singole istituzioni scolastiche per finanziare i progetti speciali. Vengono esaminate le richieste pervenute per cogliere la congruità economica rispetto agli scopi dichiarati. Uno di questi, battezzato dall’autrice, della scuola primaria, “L’esperienza generatrice”, chiede un finanziamento da distribuire in modo proporzionale tra la scuola primaria e la scuola dell’infanzia. Nel vederlo, e leggerne i contenuti, il rappresentante sindacale impegnato nella contrattazione, della scuola dell’infanzia, fa un’espressione stralunata. Il dirigente chiede il motivo, e si sente rispondere che gli insegnanti della scuola dell’infanzia quel progetto non lo hanno mai visto. Il dirigente chiama l’autrice del progetto al telefono, ne chiede spiegazione, chiede se le colleghe della scuola dell’infanzia ne siano a conoscenza. Mentre ascolta la risposta fa cenno di no con il capo, tutti i presenti scoppiano in una risata. E lui, rivolgendosi all’autrice del progetto, “Sa, signora, sarebbe il caso ne parlasse con le sue colleghe della scuola dell’infanzia”. Conclude la conversazione, e rassicura che l’autrice del progetto parlerà con le colleghe della scuola dell’infanzia. Il motivo del… pasticcio, sta tutto in una delibera vincolante e stringente del Collegio dei docenti che adottava come asse portante del Piano dell’Offerta Formativa di quell’istituto comprensivo la continuità verticale, quella tra ordini di scuola diversi. Come da italiana memoria, fatta la legge, emanato il provvedimento vincolante, l'autrice del progetto “L'esperienza generatrice” ha individuato la strada per utilizzare a proprio beneficio una parte del fondo di istituto, anche a costo di dichiarare un accordo mai stipulato.

Criteri di valutazione, tabelle, istogrammi. Una conclusione provvisoria

In questa storia italiana, tra qualche giorno, noi insegnanti ci troveremo ad un bivio importante. La scelta dovrà essere se continuare a lavorare con i colleghi e le colleghe o contro di loro. Se considerare gli alunni beneficiari del nostro servizio o strumenti attraverso i quali rimpinguare i nostri stipendi. Se lavorare considerando il nostro impegno il frutto di una comunità che, come da definizione, mette “in comune” la dote dei singoli per diventare sotto il profilo professionale tutti un po’ più ricchi, o lavoratori che guardano con sospetto al lavoro degli altri, ben attenti comunque a non fare trasparire quanto si sa fare per paura di esserne derubati e venire esclusi dalla rosa dei vincitori del premio in palio. E' anche possibile sia presente tra noi insegnanti chi, per “partire avvantaggiato” sulla linea di partenza, stia prendendo d'assalto i social network, Internet, per scaricare i progetti più suggestivi da utilizzare attraverso la mediocre pratica del “copia e incolla”, pronto a buttarli sul piatto delle competenze personali da fare valutare per i propri legittimi obiettivi economici. E’ a tutto questo che, personalmente, mi sento di affermare “Io non ci sto, me ne tiro fuori”. Perché voglio continuare a considerare i colleghi alleati contro una cattiva scuola oggi, ed una cattiva società domani, anziché concorrenti ai quali sottrarre pochi spiccioli; ad avere come riferimento i diritti delle bambine e dei bambini quotidianamente affidatimi anziché il mio stipendio da incrementare con una collana di parole che raccontano le meraviglie realizzate dagli alunni attraverso la mia guida, ma ben attento a nascondere le difficoltà che non riescono ad affrontare.

A questa pratica, fatta di Rapporti di autovalutazione, di eterovalutazione, di extravalutazione, voglio rispondere con una “poesia” consegnata a noi insegnanti da una mamma ed un babbo dopo tre anni di lavoro con la loro figlia.

Ai miei cari maestri.

L’asilo è terminato

Ed ora mi accomiato

Dai maestri tanto cari

Che, con pazienza senza pari,

tanto tempo han dedicato,

tante cose insegnato,

sopportato i miei capricci

e i successi acclamato.

Grazie, grazie,

tante cose ora so fare

ed il mio naso anche soffiare.

Un abbraccio affettuoso

Mentre volo via, conservando

Nel mio cuore

Il ricordo del vostro amore !!!

Giovanna (nome di fantasia, bambina reale)”

Con parole semplici ed un po’ arcaiche, affatto didattiche, tecniche o tecnologiche, quei genitori hanno ringraziato me e la mia collega per avere insegnato alla loro figlia nuovi saperi e fatto acquisire nuove competenze senza mai dimenticare che avevamo in custodia il loro tesoro più caro, una Persona da rispettare. Noi insegnanti alle loro aspettative abbiamo risposto insieme, senza premi da conquistare, senza colleghe da superare attraverso l'utilizzo di improbabili criteri di valutazione, lavorando sempre con e mai contro. Per cui, signor Ministro, se proprio vuole con i suoi valutatori capire come lavoriamo noi insegnanti, venga pure a trovarci a scuola quando più Le aggrada. Troverà sempre le porte aperte. Chissà che in quell’occasione non abbia la possibilità di imparare qualcosa di nuovo sul faticoso ed entusiasmante lavoro svolto quotidianamente, in silenzio, dalla maggior parte degli insegnanti di tutti gli ordini e gradi scolastici con le bambine ed i bambini, le ragazze ed i ragazzi, che ci vengono quotidianamente affidati. Chissà che una volta per tutte possa imparare anche Lei, insieme ai Suoi consiglieri, a riconoscerci lo stesso rispetto e gratitudine manifestato con semplicità attraverso la loro poesia dai genitori di Giovanna.

Confido coglierà le ragioni che mi hanno spinto a scriverLe questa lunga missiva.

Gianni Dessanti

Insegnante