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"Le lauree non sono tutte uguali" oggi al via il referendum online

Questionario sul sito del ministero: 15 domande per riscrivere le regole

22/03/2012
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la Repubblica

RICCARDO LUNA

STAMATTINA la campanella suonerà un po' prima. Alle otto in punto il ministro della Istruzione Francesco Profumo salirà al quarto piano della sede del MIUR, viale di Trastevere, e, in diretta televisiva con il Tg1, premerà il bottone per dare il via alla più importante, drammatica e rivoluzionaria consultazione popolare che si poteva immaginare.

QUELLA sul valore legale del titolo di studio. Un istante dopo sul sito web del ministero compariranno 15 domande alle quali sono tutti chiamati a rispondere, perché tutti sono in qualche modo interessati al tema. Il punto è: quanto valgono davvero una laurea o un diploma? Sono tutte ugual i , a pres c i n d e r e dall'ateneo o dalla scuola dove si sono conseguite e dal tempo impiegato? Oppure quella presa in una istituzione migliore vale di più anche se il voto finale è più basso? E ancora: possono comportare avanzamenti di carriera automatici indipendentemente dalla qualità della didattica? Per sintetizzare in maniera brutale: vale più un bellissimo pezzo di carta o quel che uno sa davvero fare? Chi è per l'abolizione del valore legale, può citare tra i tanti l'esempio di Steve Jobs che ha creato la Apple pur non essendosi mai laureato. Ma, al contrario, per molte professioni la laurea o il diploma appaiono socialmente un requisito essenziale: chi si farebbe estrarre un molare da un dentista senza laurea? Come è evidente, si tratta di questioni tutt'altro che banali, che investonoi fondamenti stessi della nostra società, l'uguaglianza del diritto allo studio, il valore della meritocrazia e le regole per l'accesso al mercato del lavoro. Il tema non è nuovo, anzi: venne lanciato ben 65 anni fa da Luigi Einaudi, l'economista che l'anno seguente, nel 1948, sarebbe diventato il secondo presidente della Repubblica. In un saggio intitolato Vanità dei titoli di studio, Einaudi scriveva: "Ho l'impressione che alla Costituente, in materia di scuola, si corra dietro alle parole più che alla sostanza... Sono vissuto per quasi mezzo secolo nella scuola; ed ho imparato che quei pezzi di carta che si chiamano diplomi di laurea, certificati di licenza valgono meno della carta su cui sono scritti". Quel saggio è stato ripreso e citato testualmente dal presidente del Consiglio Mario Monti lo scorso 27 gennaio.

Giorno in cui tutti aspettavano l'abolizione del valore legale del titolo di studio, già all'ordine del giorno del consiglio dei ministri, ma poi il dibattito della riunione sul punto era stato acceso e tutt'altro che unanime. Di qui la decisione di Monti di affidare a Profumo il varo di una consultazione pubblica. Che parte oggi nel modo più largo possibile: 15 domandea tutti, un mese di tempo per rispondere, conversazione avviata su Twittere Facebook.

E poi si vedrà. La consultazione non riguarda due aspetti, tenuti volutamente fuori: il valore del titolo di studio ai fini di andare avanti nel sistema scolastico e accademico, ovvero il fatto che serva un diploma per accedere al ciclo di studi successivo; e la sua rilevanza per l'accesso al mondo del lavoro privato, perché è già pressoché nulla. Si è così circoscritto l'obiettivo al valore del titolo di studio per accedere alle professioni o nel pubblico impiego. Anche così gli scenari che possono aprirsi sono rivoluzionari: oggi il titolo di studio è requisito essenziale per accedere all'esame di abilitazione in tante professioni.

Aprire l'esame a tutti, vorrebbe dire coinvolgere molte più persone. Discorso analogo per la pubblica amministrazione dove il titolo di studio, conseguito magari in una università modesta, non varrebbe più un automatico avanzamento di carriera. Quello sul differente valore delle università è un po' il cuore del problema: può davvero avere lo stesso valore legale una laurea in atenei di qualità tanto diversa? Finora è stato così: negarlo aprirebbe la strada a una concorrenza fortissima fra università dove le più deboli soccomberebbero.

Il ministro Profumo vede anomalie e storture nel sistema attuale ma in questa partita gioca il ruolo di spettatore attivo: tutta la procedura di consultazione è stata resa facile e snella per favorire la massima partecipazione possibile. «Lo scopo è aprire un vero dibattito, far capire a tutti la posta in gioco"» ha detto lunedì incontrando i rappresentanti degli studenti. Intanto, su Twitter è stato annunciato per stamattina un flashmob di protesta davanti al ministero. Si parte.


Il segretario generale della Cgil Scuola "C'è il pericolo di un nuovo classismo"

(S.I.)

«È la strada sbagliata». Domenico Pantaleo, segretario generale della Cgil Scuola, non ha dubbi: «Si creerebbero università di serie A e di B, penalizzando ancora di più il Sud».

Perché? «I titoli assumerebbero un valore diverso a seconda dell'ateneo e questo accentuerebbe le sperequazioni tra chi si può permettere le università d'eccellenza e chi no».

Ma allora perché andare in questa direzione? «Si vuole americanizzare il sistema universitario italiano aumentando la competizione fra atenei, ma qui la situazione è diversa: gli abbandoni universitari sono tantissimi e stanno calando anche i diplomati che si iscrivono all'università».

Rilanciare il sistema italiano è quindi impossibile? «No, ma occorre migliorare lo standard qualitativo di tutti gli atenei italiani non solo di alcuni».

 

 

 

 

 
 
 


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