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Le voci degli studenti “Salviamo la casa che sta bruciando”

Le frasi

26/11/2010
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La Stampa
ANDREA ROSSI TORINO

Se casa tua sta andando a fuoco tu cosa fai? Resti in salotto a sorseggiare il caffè o imbracci l’estintore?». Salvare la baracca dalle fiamme, a Pisa, significa salire in cima alla Torre e srotolare uno striscione lungo quasi trenta metri, a Roma fare irruzione dentro il Colosseo, a Torino prendere possesso della Mole Antonelliana, a Padova scalare la facciata della basilica di Sant’Antonio. Rocco Albanese, 22 anni, quinto anno di Giurisprudenza a Pisa, negli ultimi due giorni ha, nell’ordine, ostruito cinque ponti sull’Arno, paralizzato l’aeroporto e la linea ferroviaria Tirrenica. «Sì, lo so, rischiamo che la gente non capisca. Noi non vogliamo danneggiare chi lavora. Però vogliamo che ci vedano, e sappiano che vivono in un Paese narcotizzato, in cui si sono gettate le basi della dittatura dell’ignoranza».

Emanuele Distante se ne sta sul tetto della facoltà di Fisica a Milano, guarda sotto e pensa che magari tra qualche mese andrà via. In Danimarca gli hanno offerto un dottorato di ricerca. «Ho rifiutato. E loro: guarda che ti copriamo di sol-

Sì, lo so: rischiamo che la gente non ci capisca. Però vogliamo che ci vedano e sappiano

Rocco Albanese

Studente di Giurisprudenza a Pisa

di». Quattromila euro lordi al mese. «Qui i ricercatori li vogliono trasformare in precari a vita, 1500 euro al mese e tocca anche ringraziare», attacca Elena Monticelli dall’ultimo anello del Colosseo assediato dai ragazzi della Sapienza.

Dicono che l’Italia s’è accorta di loro solo perché salgono su tetti e monumenti. È vero: la mobilitazione dentro gli atenei è cominciata due mesi fa. Adesso è salita di tono, perché la leg-

In Danimarca mi avrebbero coperto

di soldi, qui ci vogliono trasformare in precari a vita

Emanuele Distante

Ricercatore di Fisica a Milano

ge è approdata in Parlamento, e quella è la linea del Piave. «Cosa chiediamo? Il ritiro del ddl, il reintegro dei fondi per il diritto allo studio, norme per rendere più efficienti gli atenei, non i soliti provvedimenti spot», spiega Luca Spadon, 23 anni, studente di Storia a Torino. Della riforma, fosse per loro, resterebbe un cumulo di macerie. «C’è un processo di smantellamento dell’istruzione pubblica che sta arrivando al culmine - racconta

Chiediamo il ritiro del ddl, norme per

rendere efficienti gli atenei, basta con provvedimenti spot

Luca Spadon Studente di Storia a Torino

Elena Monticelli, che ha 23 anni e alla Sapienza studia Economia - Via i finanziamenti, via i soldi per le borse di studio, e adesso questa legge che trasforma gli atenei in aziende». Si chiedono cosa resterà dopo, per scoprire che la cura è peggio di quel che stanno combattendo. «I prestiti d’onore? Come no, ci concedono il dritto-dovere di indebitarsi con lo Stato per studiare», dice Albanese.

Seguiranno la riforma passo dopo passo. Quando tornerà in aula, loro torneranno in piazza. Ogni minuto verso il via libera farà salire la protesta di tono. «Ci troveremo con atenei governati da monarchi assoluti, rappresentanze studentesche ridotte a zero, nessun fondo per la ricerca», riflette Giovanni Zamponi, padovano. Nei prossimi anni, in mancanza di correzioni di rotta, in 200 mila rischiano di restare senza borsa di studio. Il disegno, per loro, è chiaro: «C’è un governo in agonia che fa di tutto per portare a casa due provvedimenti: l’Università e il Collegato lavoro: niente aiuti per chi studia e nessuna tutela per quei pochi che poi trovano lavoro. È questo il futuro che stanno disegnando?».

Vista da quassù, dall’alto dei «monumenti studenteschi» e dei tetti di mezz’Italia trasformati in tendopoli, c’è una generazione che ha ingaggiato un corpo a corpo al limite dello sfinimento con i «ladri di futuro». Si batte dentro e fuori le università, raccoglie firme per l’acqua pubblica, fa politica dentro i partiti, fa politica fuori dai partiti, in movimenti, assemblee, laboratori. Fa volontariato. «Qui va in scena il nostro riscatto, il tentativo di incidere sulla realtà», racconta Spadon. Perché lo facciamo? Perché ne va del bene comune: l’acqua è di tutti, l’ambiente è di tutti, l’istruzione è di tutti. Non ci riusciremo? E chi l’ha detto?».