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Liberazione: Applichiamo il Programma: a scuola (almeno) fino a 16 anni

Loredana Fraleone

06/08/2006
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Liberazione

Si è fatto riferimento più volte, durante la campagna elettorale e nello stesso programma dell’Unione, ai primi cento giorni di un eventuale governo Prodi, per indicare un periodo entro il quale dare il segno di un reale cambiamento rispetto ai tempi bui del berlusconismo. Grosso modo ci siamo. Indicatori positivi sono il ritiro delle truppe dall’Iraq ed un’inedita autonomia della politica estera italiana rispetto ai diktat Usa; l’attacco ad alcune lobby e posizioni di privilegio, attraverso il decreto Bersani; i provvedimenti ed il nuovo atteggiamento nei confronti degli immigrati; la complessiva permeabilità alle istanze sociali del governo di centrosinistra rispetto alla totale impermeabilità di quello della Cdl.
Anche sul versante del sistema d’istruzione arrivano segnali in positivo, più coraggiosi da parte del ministro Mussi, per la verità, nonostante la maggiore difficoltà rappresentata dalla grande frantumazione dell’università e della ricerca, prodotta non tanto dagli interventi della Moratti quanto del precedente governo di centrosinistra, con riforme tutte da rivedere.

Per quello che riguarda la scuola, sicuramente il settore politicamente più laico e più vigile, sono stati compiuti passi avanti con alcune “correzioni” importanti, ma pur sempre correzioni. Ossigeno alla scuola primaria, con la restituzione del tempo pieno, l’annullamento del tutor e del portfolio, che rimane ancora funestata però dalle indicazioni nazionali, da cambiare radicalmente con tempi che certamente non possono essere brevissimi, stante la complessità della materia e l’esigenza di coinvolgere le scuole.

Un’iniezione di credibilità alla scuola superiore, con l’annullamento della sperimentazione della riforma Moratti ed il decreto sugli esami di maturità.

Quest’ultimo provvedimento nel complesso restituisce un po’ di valore all’esame più importante dell’intero sistema d’istruzione. Lo è per il traguardo formativo che lo accompagna e per il vero e proprio rito di passaggio che ha sempre costituito e costituisce per un numero crescente di ragazze e ragazzi. Sono sempre troppo pochi però, rispetto alla media europea ed al livello di conoscenza richiesto dalla nostra società avanzata e complessa.

Un provvedimento che continuiamo a definire deludente e che bisognerà provare a modificare in senso più innovativo durante l’iter parlamentare. Da capire meglio alcune questioni fumose, come l’incentivo ai meritevoli, quando esiste un problema di risorse per il diritto allo studio molto grande proprio nella scuola superiore. Sostanzialmente il decreto rappresenta un ritorno al passato recente, perché si limita a ripristinare le commissioni miste e l’ammissione alla prova, conservando la rigidità del sistema dei crediti, sommabili per blocchi, come se l’esame non potesse avere una sua visione complessiva e quindi più libera. Per quello che riguarda i candidati esterni (privatisti), presso le scuole paritarie, non si torna nemmeno al passato recente, ma si rimane alla Moratti, che aveva sottratto allo Stato la funzione di unico ente certificatore dell’esame.

Non sono questioni irrilevanti quelle che ci fanno restare tiepidi di fronte al decreto sugli esami di maturità e che ci faranno impegnare per il suo cambiamento.

Il ministro Fioroni ha dato un bel segnale mandando ispezioni durante gli esami e prendendo in fallo parecchi diplomifici privati, ma dovrebbe sapere che “è l’occasione a rendere l’uomo ladro” e far sostenere la maturità a privati presso privati è tutt’altro che una garanzia per la correttezza della valutazione.

Siamo disposti a valicare “i cento giorni”, ma non oltre il prossimo autunno, per l’attuazione del punto più qualificante del programma dell’Unione sulla scuola, ossia l’innalzamento dell’obbligo almeno a sedici anni. Questo provvedimento, più che maturo e largamente condiviso, ci fornirà l’occasione di avviare una riflessione su tutta la scuola superiore. Dovremo tenere conto di una realtà giovanile sempre più difficile ed esigente, di un bisogno di cura e d’investimento economico sull’istruzione adeguati a quella società della conoscenza di cui tanto si parla. Una nuova “maturità” dovrebbe portare fuori i giovani dalla precarietà. Una maggiore cultura dovrebbe renderla ancora più insopportabile e svelarne anche l’inefficacia per la crescita sociale e civile.