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Liberazione: Bertinotti: «Prima di riformarla il governo ascolti la scuola»

L’incontro a Montecitorio con i promotori di una legge di iniziativa popolare

21/10/2006
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Liberazione

Checchino Antonini
Se fosse lui a dover dare un consiglio al governo, consiglierebbe di non avere troppa fretta a riformare la scuola, così da avere il tempo per un processo di partecipazione e di ascolto. «Quella riforma è impossibile senza la partecipazione del mondo della scuola», spiega Fausto Bertinotti, il presidente della Camera, seduto in fondo al lungo tavolo della biblioteca di Montecitorio. Intorno a lui una ventina tra insegnanti e genitori venuti a presentargli la proposta di legge di iniziativa popolare, uno dei tasselli della possibile riforma, firmata da oltre 100mila cittadini al termine di un lungo percorso di scrittura collettiva che è riuscito a coinvolgere almeno 5-6mila persone in due anni, tra il primo convegno, a Genova, e assemblee nazionali completamente autogestite come quella di Venezia, fino ad arrivare, a giugno 2005, alla prima bozza redatta da 200 mani.
«Buona scuola per la Repubblica» - così l’hanno voluta titolare - parafrasando i buoni scuola, simbolo di un’era morattiana che va superata definitivamente con l’abrogazione di quella che la ministra chiamava “riforma”, la legge 53, e dei decreti collegati.

La scuola sia laica, pubblica e pluralista - dice il testo depositato ufficialmente il 4 agosto scorso - sia obbligatoria fino a 18 anni (come premessa per una vera riforma delle superiori che concorra a rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale, culturale e di genere che di fatti limitano la libertà dei cittadini); la formazione professionale avvenga solo dopo l’assolvimento dell’obbligo; siano ripristinati tempo pieno e tempo prolungato, la scuola dell’lnfanzia soddisfi tutte le richieste e gli asili nido entrino nel sistema nazionale; le classi non abbiano più di 22 alunni, i programmi siano moderni, efficaci, condivisi, la gestione partecipata con il rilancio degli organi collegiali.

Gli interventi di presentazione hanno sfiorato anche un punto delicatissimo, «totalmente fuori dalla possibilità di intervento del presidente della Camera»: la Finanziaria. «Ci aspettiamo, o forse ci aspettavamo, qualcosa di più», è stato fatto presente nell’incontro ma Bertinotti ha voluto evitare decisamente la «sgrammaticatura rilevante» che si sarebbe verificata con il suo intervento sulla materia.

Più interessante - per lui che ha il compito di indicare «strade di arricchimento della democrazia» - la legge di iniziativa popolare su un tema, la scuola, che, nella difficile transizione italiana, viene sottoposta alle «pressioni di sistema» perché i processi di formazione siano totalmente funzionali alle esigenze produttive. Il bivio è lo stesso per l’istruzione e le comunicazioni, se debbano i servizi pubblici rivolgersi a un «cittadino-consumatore o a persone». A una scuola che sia «investimento sulle persone» s’erano richiamati anche i promotori con un orientamento condiviso dal presidente della Camera, critico su qualsiasi «finalizzazione mercantile dell’istruzione». Da un’altra prospettiva si può parlare di «investimento a produttività differita: sarebbe un cattivo investimento - ha detto ancora Bertinotti - chiedere alla scuola di formare solo professionalità circoscritte e definite anziché professionalità allargate capaci di attingere a culture vaste e polivalenti».

Uscendo da Montecitorio, la delegazione del comitato per “la legge della Buona scuola per la Repubblica” (vedi il sito www. leggepopolare. it) s’è imbattuta in entrambi i ministri del settore, Mussi, per primo, Fioroni sulla piazza alle spalle del Palazzo. A quest’ultimo, in particolare, è stata rappresentata la delusione per l’inserimento nella finanziaria, senza dibattito parlamentare («come ai tempi di Moratti», del’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni che finisce per mantenere tratti di ambiguità. Colpa della maggioranza risicata, s’è giustificato Fioroni che poi ha glissato sulla richiesta di ripristinare il tempo pieno con esplicite indicazioni nazionali. Per il ministro sarebbero sufficienti gli strumenti dell’autonomia scolastica (di cui i promotori chiedono invece un ripensamento) ma la potente lobby dell’editoria scolastica già stampa testi con i programmi morattiani.

Per Patrizia Quartieri, maestra e consigliera comunale a Milano per il Prc, l’incontro con il ministro è stata l’occasione per solidarizzare con la scuola araba che attende di poter riaprire in Via Ventura, freudianamente chiamata «islamica» da Fioroni. «In realtà è una scuola straniera, come prevede la Costituzione - spiega Quartieri a Liberazione ed ha avuto il merito di svelare l’insicurezza di molti istituti milanesi e di porre al centro i temi dell’integrazione. Certo, sarebbe meglio che tutti i bambini andassero nelle scuole pubbliche se queste fossero dotate degli strumenti necessari - facilitatori, mediatori, programmi - per accogliere i portatori di culture differenti».