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Liberazione: Bravo Napolitano, sa vedere l’Italia reale

il “debutto” di Giorgio Napolitano, la sera del 31 dicembre 2006, ha costituito una felice eccezione

02/01/2007
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Liberazione

Rina Gagliardi

Può succedere - è spesso successo - che il tradizionale discorso di Capodanno del Presidente della Repubblica si risolva in una sequenza di ritualità, tanto ecumeniche quanto povere di contenuti. Ma il “debutto” di Giorgio Napolitano, la sera del 31 dicembre 2006, ha costituito una felice eccezione proprio da questo punto di vista: il capo dello Stato ha svolto cioè una riflessione di alto profilo istituzionale, come si usa dire, certo non di parte o faziosa, ma anche e soprattutto significativamente legata all’Italia del presente. Un ragionamento rivolto agli uomini e alle donne reali di questo Paese, nient’affatto circoscritto nei recinti dei palazzi - del massimo Palazzo - della politica.

E proprio alla possibile e necessaria “nobiltà della cosa pubblica”, Napolitano ha dedicato il primo passaggio della sua prolusione. «Non allontanatevi dalla politica», non rinchiudetevi nell’orizzonte o nella nicchia della vita privata, non rinunciate, in sostanza, alla possibilità di mutare, in meglio, lo stato delle cose presenti: questo il senso di un messaggio di grande valore etico e civile, non solo di un’esortazione, che il riferimento alla Resistenza antifascista ha ancorato alla stagione fondativa della Repubblica. Tanto più che il Presidente della Repubblica ha evitato di cadere nella trappola - sempre in agguato - dell’invocazione bipartisan: ha chiesto dialogo e confronto tra i poli, sì, ha riproposto la necessità di un confronto vero, come oggi certo non avviene, nel merito dei problemi italiani, sì, ma non ha certo invocato un clima politico “indifferenziato” o un generico embrassons-nous in cui si annullano identità diverse e anzi lontane. Come dargli torto, però, quando ha denunciato, con la sua proverbiale pacatezza, il limite attuale della politica, il suo ridursi a “politica gridata” o a mero esercizio di contrapposizione? Come non convenire con lui che qui - non nella rigorosa distinzione e anzi distanza delle idee e delle proposte che caratterizzano partiti e schieramenti - si annida un pericolo serio proprio per il rapporto tra cittadini e politica?

Il secondo e più corposo passaggio del suo discorso, Napolitano l’ha dedicato alla questione principe della società italiana: il venir meno della coesione sociale. Una crisi che, del resto, va di pari passo con la crisi della politica - e che forse, anzi, ne costituisce la radice più seria e profonda. Una crisi che però non si può pensar di risolvere, e nemmeno di affrontare, se non la si connette organicamente ai problemi di ingiustizia e iniquità sociale che affliggono l’Italia: in poche battute, parlando di disuguaglianze salariali da colmare, di occupazione da promuovere, di risorse (intellettuali femminili, giovanili) da valorizzare, di un Mezzogiorno che non può rimanere l’eterna cenerentola del paese, il Capo dello Stato ha lanciato una sorta di manifesto politico e civile, sul quale è difficile che non convenga la stragrande maggioranza del popolo italiano.

Inconfondibile e rigorosa la sua ispirazione “socialdemocratica”, progressista, razionale: un tempo l’avremmo forse giudicata prudente e financo “moderata”; oggi, nella confusione ideologica che ci sovrasta e nel clima di regressione che attanaglia il mondo, ci appare come una posizione - una proposizione - molto avanzata, forse (suo malgrado) perfino un po’ “eversiva”. Come è francamente “eversivo”, nel (dis)ordine attuale, la puntuale denuncia che il primo cittadino d’Italia compie (e ha compiuto anche l’altra sera) dell’ecatombe quotidiana degli infortuni sul lavoro.

Meno forte e riconoscibile, invece, nel messaggio presidenziale, l’accento laico che forse molti si aspettavano: il Presidente ha preferito non entrare nel merito e non esprimere alcuna posizione propria, forse per uno scatto di prudenza, forse per mantenere intatto il suo profilo di imparzialità, anche rispetto al pluralismo che attraversa l’Unione. Ma anche qui, guardando al testo con attenzione, un’indicazione chiara e netta c’è: sulle questioni oggi impropriamente definite come “eticamente sensibili”, ha detto Napolitano, la discussione e la decisione spettano comunque al parlamento - non ad altre autorità esterne, per quanto autorevoli possano essere. E a voler usare un po’ di malizia, si può dire che l’omaggio doveroso a Benedetto XVI è rimasto circoscritto alle sole questioni della pace, del Medio Oriente, della ricerca del dialogo interreligioso.

Insomma, lo pensavamo prima e oggi ne siamo ancor più persuasi: questo presidente della Repubblica, al di là dei suoi meriti personali, è un garante serio dell’equilibrio democratico di questo paese. Non ne siamo persuasi soltanto noi, che lo abbiamo votato, ma perfino Roberto Calderoli…