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Liberazione: «Cara Gelmini, l'Africa mi chiama la scuola italiana invece no»

Emiliano Sbaraglia - scrittore, giornalista, insegnante precario

12/11/2009
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Liberazione

Vittorio Bonanni

Una tavolozza colorata. E' la prima immagine che viene in mente dopo aver ascoltato Emiliano Sbaraglia. Dopo aver assorbito la sua allegria, la sua voglia di fare e di impegnarsi su tanti, tantissimi fronti, sfidando quella precarietà che lui, con una fantasia che evoca appunto i tanti colori di un arcobaleno, è riuscito a trasformare in una risorsa. Scrittore, insegnante precario, giornalista, tanto per cambiare, precario presso la radio della Cgil Articolo 1 , con una passione inusuale, per uno nato nel 1971, per Piero Gobetti ed Enrico Berlinguer, ai quali ha dedicato due suoi libri, Emiliano è da qualche giorno in Senegal, a Kelle sur mere, a qualche decina di chilometri da Dakar. Obiettivo,
dare una mano, da insegnante di frontiera quale è, ad un progetto finalizzato ad istruire i tanti bambini di strada, i talibì, che popolano quei luoghi. Un'idea di Severino Proserpio, "Seve" per gli amici, un sindacalista dello Spi Cgil. L'autore di La scuola siamo noi (Fanucci editore, pp. 176, euro 13,00), il suo ultimo libro uscito quest'anno, già esaurito tanto che l'editore ne ha già deciso una ristampa, ha incontrato Liberazione proprio pochi giorni prima della sua partenza. «Il libro verrà ristampato - esordisce Emiliano - con una nuova prefazione. E cioè con una lettera indirizzata alla Gelmini intitolata "Arrivederci ministro", dove racconto di questa mia scelta, del fatto che sono stanco di questa situazione e che piuttosto che fare la milionesima manifestazione della mia vita o venire in mutande sotto il ministero a viale Trastevere, ho deciso di cambiare la mia forma di protesta. Gli ho detto, visto che non mi fai insegnare qui in Italia dopo dieci anni di precariato nelle scuole superiori in italiano e latino, vado a farlo in Africa, a sud di Dakar. Però caro ministro torno, ho scritto sempre nella lettera, perché c'è un impegno civile che uno sente di portare avanti comunque».
Un modo inusuale per dare un segnale forte…
E che non riguarda solo la Gelmini ma tutti gli ambienti di lavoro che ho frequentato, compresi alcuni molto legati alla sinistra. Ho lavorato per cinque anni nella redazione di Aprile online , nelle pagine culturali, ero già pubblicista e mi era stato promesso un contratto da praticante a scapito anche di un anno di scuola durante il quale appunto mi sono astenuto dall'impegno didattico. Risultato, non mi hanno mai fatto questo contratto e sono anche tornato indietro nelle graduatorie. Qui, ad Articolo 1 , ho un lavoro part-time, anche se poi non lo è nella quotidianità. All'università avevo un dottorato di ricerca in letteratura italiana che è però finito nel 2004. Per tutte queste ragioni ho deciso di fare questa scelta: se qui più di questo non si tira fuori, se devo aspettare altri cinque anni, allora nel frattempo vado a fare qualcosa di diverso.
Da dove nasce l'idea di andare in Senegal?
Per la radio ho fatto una volta una sostituzione per un programma del quale di solito non mi occupo e che si chiama Segnoradio, dedicato in quel caso ad un numero di Liberetà . Ed è stata l'occasione per parlare con Severino Proserpio, dello Spi Cgil, che da dieci anni viaggiava per l'Africa e da sei-sette si era fermato in Senegal dopo la morte della moglie Ornella. In questo paese ha creato questo centro di accoglienza che si chiama Les enfants de Ornella , inaugurato l'anno scorso con il sostegno economico appunto dello Spi. Mentre parlavo con lui in radio, in diretta, mi ha chiesto se volevo andare a trovarlo. Gli ho risposto che era dall'età di quindici anni che avevo la voglia, il desiderio di partecipare ad un progetto come quello o quanto meno di vederlo. E così, dopo un mese esatto, ero là, con un mio amico fotografo, e ho realizzato un reportage al quale è stata dedicata la copertina del numero di novembre del mensile del sindacato pensionati Cgil.
Avete potuto così vedere come funzionava il progetto educativo...
Sono rimasto lì due settimane a vedere come lavoravano. La prima cosa da fare è insegnare il francese ai bambini, lingua ufficiale in Senegal. Ma questi piccoli, les enfants de la plage come li chiamano i senegalesi, abbandonati a loro stessi, parlano solo la lingua locale. Se si fa un corso di alfabetizzazione in francese, si dà loro una maggiore opportunità per il futuro. Questo centro di accoglienza è così concentrato soprattutto su questo aspetto. Ha a disposizione un insegnante cattolico e uno musulmano, quest'ultima religione è praticata dall'85% della popolazione, che organizzano delle classi e ogni mattina e qualche pomeriggio fanno lezione. Sono previste anche altre attività: una volta ogni due settimane c'è un corso di teatro, organizzato da un insegnante che viene da Dakar molto bravo. Alternati ci sono quelli di musica, di danza, di ginnastica artistica. In questo contesto Severino Proserpio, da sindacalista Cgil si è trasformato in una sorta di semisantone. Ogni giorno lui nella sua stanzetta medica questi bambini, cura queste ferite stupide che si fanno giocando a pallone che però se non disinfettate accuratamente rischiano di diventare pericolose. Per questo quando sono andato e anche ora che andrò ho portato con me garze, materiale disinfettante e anche palloni gonfiabili da calcio.
Il calcio mi sembra un'altra tra le tue tante passioni, o sbaglio?
Sì, ho sempre avuto un grande interesse soprattutto per il calcio giocato. E il giorno dopo aver disputato per la prima volta una partita con questi bambini, mentre stavo scrivendo il mio reportage, ho alzato la testa dalla finestra della saletta dei computer e ce ne erano ottantacinque che aspettavano che li riportassi a giocare a pallone. Così abbiamo cominciato a parlare delle regole che loro non conoscevano, del giocare tatticamente in un certo modo. Naturalmente di questa situazione che ho vissuto in due settimane me ne sono innamorato perché si trattava di un'esperienza concreta, che avrei sempre voluto fare. Nel frattempo mi sono inventato qualcosa per passare l'estate. Visto che avevo l'opportunità di dormire per due mesi a basso costo sono stato a Brooklyn, a New York, dove ho fatto il cameriere. Poi, una volta tornato i primi di settembre, mi sono recato nelle scuole dove solitamente mi chiamano e sono più avanti in graduatoria e mi hanno detto che con i provvedimenti introdotti dalla Gelmini prima di gennaio, febbraio non ci sarebbero state opportunità. Mi hanno comunque garantito che sarei rimasto in graduatoria e che se avessi riportato un documento che attestava il mio impegno educativo in Africa non sarei stato penalizzato in quanto stavo comunque svolgendo un'esperienza didattica.
Insomma si sono verificate una serie di circostanze che ti hanno spinto ad andare…
Non ultimo il fatto che l'editore Fanucci si è anche interessato all'esperienza che io andavo a fare e mi ha detto che, dopo aver scritto un libro sulle periferie di Roma, avrei potuto fare altrettanto sulle periferie di Dakar.
Ora Emiliano è a Kelle sur mere da un paio di settimane e ci ha mandato via mail un diario della sua giornata. «Mi sveglio tra le 7,30 e le 8,00, mi lavo e faccio colazione - racconta il giornalista - quindi inizio la mia attività, il che vuol dire andare nella scuola pubblica, a circa 300 metri dal centro, e seguire le lezioni. Se non vado a scuola accompagno Baba e Pierre sulla spiaggia per vedere come individuano i bambini e parlano con le loro famiglie al villaggio. Nel pomeriggio - prosegue Sbaraglia - alle 15 o alle 16 si lavora al centro e qui il mio ruolo è quello di supporto didattico al lavoro di alfabetizzazione, i bambini parlano il dialetto wolof e hanno bisogno di imparare il francese, e di integrazione del programma didattico visto il numero di studenti promossi nella scuola pubblica con cui il centro collabora rispetto alle altre scuole». La giornata di Emiliano si conclude nel tardo pomeriggio con il calcio giocato con i ragazzi (lui da giovane è stato anche in serie C con il Frosinone prima che un incidente ridimensionasse le sue ambizioni) e con la preparazione della cena. Un'esperienza straordinaria la sua, da emulare, ma pur sempre un talento che fugge da un'Italia incline ad allontare sempre più "la meglio gioventù" di questo brutto inizio di millennio