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Liberazione-Crocifisso, laicità e convivenza civile

Crocifisso, laicità e convivenza civile di Titti De Simone Sorprende questo dibattito sul crocifisso nelle scuole, per le reazioni di difesa dell'identità nazionale che intorno a questo simbolo ...

31/10/2003
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Liberazione

Crocifisso, laicità e convivenza civile
di Titti De Simone
Sorprende questo dibattito sul crocifisso nelle scuole, per le reazioni di difesa dell'identità nazionale che intorno a questo simbolo religioso, si sono mosse da ogni parte. La questione non è giudiziaria ma politica e per questa via dovrebbe essere principalmente affrontata, e penso che l'invio di ispettori ministeriali da parte del ministro della Giustizia sia un atto autoritario da denunciare.

Al di là delle posizioni che non temo a definire razziste di Adel Smith, trovo del tutto condivisibile la richiesta di rimozione del crocifisso dalle aule, la cui presenza è imposta da un decreto regio del 1924.

La religione cristiana non è religione di Stato, e la Costituzione definisce laica la scuola pubblica. Per le stesse ragioni ritengo sbagliata l'istituzione dell'ora di religione (cattolica) nelle scuole. Una assurda derivazione del Concordato fascista, che andrebbe riaffrontata alla luce di una società che si pone come essenziale il tema della convivenza e del rispetto fra culture e religioni differenti. Nessuna impostazione confessionale nella scuola pubblica può ritenersi legittima. Forse dovremmo più propriamente parlare di storia delle religioni e affrontarle all'interno delle discipline umaniste. La scuola è il primo laboratorio di cittadinanza. Migliaia di bambini di oltre sedici religioni frequentano oggi gli istituti italiani. Con l'imposizione di simboli religiosi, o la preferenza di uno sugli altri, non si va da nessuna parte. Se lasciamo che dentro la scuola si riproducano discriminazioni ed esclusioni odiose compiamo un errore e non riusciremo a neutralizzare quegli opposti integralismi che possono scatenarsi quando non c'è vero dialogo, incontro, mescolanza, e determinare una crisi di civiltà.

Se la Moratti fosse veramente interessata a lavorare sull'integrazione, invece di obbligare ai crocifissi nelle aule, farebbe meglio a non tagliare i fondi per i progetti didattici sperimentali come invece ha fatto finora. Io non condivido le parole del presidente della Repubblica, quando difende la presenza dei crocifissi nelle scuole perché simbolo di valori che stanno alla base della nostra identità. Secondo questo ragionamento ha ragione la Lega a chiedere che la croce sia esposta in tutti gli edifici e gli uffici pubblici. E hanno ragione Fini e Buttiglione, quando sostengono che la Costituzione europea deve fare riferimento alle radici giudaico-cristiane su cui si fonda questo nuovo patto di cittadinanza transnazionale.

Qui non si tratta di vecchio anticlericalismo. Ma della ridefinizione di una grammatica della laicità che sappia definire i nuovi paradigmi della convivenza civile globale. Siamo di fronte alle contraddizioni più evidenti della globalizzazione, quelle che nella contrapposizione fra localismo e globalismo delle culture possono dispiegare un terreno di conflitto, se non di scontro irreversibile.

Il pensiero laico non è affatto obsoleto e da dismettere, piuttosto credo che vada reinterpretato, alla luce delle nuove contraddizioni e delle contaminazioni della globalizzazione. Alla domanda chi sono, da dove vengo, non c'è più una sola risposta che rimane identica per tutta la vita. Diverse possono essere le appartenenze e le identità. Ci invitava a riflettere su questo aspetto, il caso delle due ragazze francesi espulse dalla scuola perché portavano il velo.

Un importante spunto di riflessione ce lo offre il libro di Ulrich Beck nel suo ultimo libro La società cosmopolita. Beck ci mette in guardia dalla costruzione di identità neonazionaliste, di nazionalismi introvertiti che cercano di proteggersi dall'invasione del mondo globale. Come nei quadri di Picasso o di Braque le immagini dell'appartenenza alle quali ci si aggrappa vanno in pezzi. Ma il quadro non deve essere rimosso, "né lo Stato né la nazione possono più controllare e ordinare come feticci di un tempo la vita delle persone". Un'altra globalizzazione è possibile nell'idea di un nuovo cosmopolitismo fuori dalla teoria-prigione dell'esistenza umana vista nella sua dimensione nazionale, dei vincoli di sangue e di terra. Serve un nuovo sguardo sul mondo. Un nuovo pensiero. Fra crisi globali e pericoli generati dal progresso le vecchie distinzioni tra dentro e fuori, nazionale e internazione, noi e gli altri hanno perso il loro carattere vincolante. E allora la teoria territoriale dell'identità fondata sulle categorie "o questo o quello" è un errore fatale. Il modus della distinzione esclusiva insomma, va sostituito con il modus della distinzione inclusiva. Il riconoscimento dell'alterità dell'altro è un tratto fondamentale. "Se la cultura è concepita come circoscritta da confini territoriali, la pluralità non può che portarci nel vicolo cieco di una falsa alternativa fra mcdonaldizzazione (uniformazione), o incomprensione". Come si fa ad uscire da questo vicolo cieco? Il suggerimento più efficace di Beck ci riconduce al conflitto mediorientale. "Nella sua politica culturale e scientifica l'Europa separa le tradizioni ebraiche e islamiche, in questo modo consolidando le linee di confine ideologiche che hanno impedito finora una soluzione pacifica. I tentativi diplomatici di dar vita a un dialogo fra ebrei e arabi falliscono perché sottovalutano il peso di una cultura ebraico-araba condivisa per secoli, che le due parti hanno rimosso da qualche decennio. Il ricordo di questa storia comune, della quale fa parte anche l'oriente cristiano, e la ripresa di tradizioni condivise sono il presupposto decisivo per una soluzione politica del conflitto arabo-israeliano che abbia consistenza e futuro". E l'Italia è anche Mediterraneo&
31 ottobre 2003
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