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Liberazione-"Don't touch my brain", il sapere liberato

"Don't touch my brain", il sapere liberato di Federico Tomasello "Lungo i muri dell'università la curiosità cresce come un rampicante: le menti giovani bramano nuove questioni su cui saggia...

06/11/2005
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Liberazione

"Don't touch my brain", il sapere liberato
di Federico Tomasello
"Lungo i muri dell'università la curiosità cresce come un rampicante: le menti giovani bramano nuove questioni su cui saggiare zanne da latte", Wittemberg 1519 (Q, , Luther Blisset).
25 ottobre 2005. Un corteo studentesco così non si vedeva da più di quindici anni. Roma, via dei Fori imperiali. Contemplare la moltitudine di studenti che scorre giù per via Cavour racconta visioni d'infanzia& la Pantera. Immagini telegiornalistiche di università occupate. Immagini strane per noi, generazione alle soglie dell'adolescenza, abituati a guardare il mondo-studenti attraverso le figurazioni catodiche dei ragazzi della terza C: "Studiare in jeans c'est plus facil - studiare Dante con il compact disc - ma perché filosofia non ce la insegna Vasco Rossi?". '89-90, il mondo cambiava come sotto la scossa di un terremoto, e con esso le scuole e le università italiane. La legge Ruberti dava allora il via ad una serie di riforme che, articolandosi lungo tutto il corso degli anni '90, avrebbero radicalmente mutato il volto della formazione in Italia.

Il prudente, l'equilibrato potrebbero domandare perché tanto rumore intorno ad un corteo ben riuscito& Per almeno tre buone ragioni, risponde l'entusiasta. Primo, questo corteo non nasce e non finisce il 25 ottobre; al contrario è dalla riapertura di scuole e università che gli studenti e le studenti manifestano per le strade e le piazze d'Italia. Per la precisione a partire dal 23 settembre quando a Siena il cardinal Ruini viene contestato dal gruppo Farfalle rosse&. Ricordate la teoria del caos? I media comprendono la portata del caso e si scatenano, la stragrande maggioranza dei politici si mostra invece sorda alle istanze di un pezzo di generazione deciso a mostrare la propria riottosità verso i guardiani di ogni tempio, di qualsiasi dogma, siano essi la sacra morale immutabile nei secoli, l'intoccabile ideologia del profitto o il credo di prudenza della realpolitik. Il 12 ottobre gli studenti medi scendono in piazza nella maggior parte delle città italiane, le scuole vengono ancora una volta occupate contro il ministro più contestato e impopolare della storia dell'istruzione e, di lì a pochi giorni, anche le università si mobilitano in modo massiccio contro il ddl Moratti sulle carriere universitarie. Il futuro ci riserva ancora sorprese: il 17 novembre (scadenza sulla formazione lanciata dal Forum sociale mondiale) sarà una giornata di insorgenza e di insubordinazione nelle scuole e nelle università e il 25 gli e le studenti saranno impegnati a generalizzare lo sciopero generale.

Ciò che colpisce è la natura ed il metodo della manifestazione dello scorso 25 ottobre. Un corteo determinato a praticare un obiettivo: poter dire la propria sotto Montecitorio dove il ddl è in discussione. Per farlo i manifestanti assediano e bloccano per dodici ore la città di Roma e mettono in gioco i propri corpi, sfidando la brutalità dei manganelli con la forza di migliaia e migliaia di mani alzate. L'assedio alla Camera, prolungato e moltitudinario, mostra il corpo vivo che abita oggi le nostre università; dall'altra parte la sciagurata scelta di continuare la discussione sul ddl e approvarlo racconta invece tutta la sordità dei palazzi e la distanza che ancora divide linguaggi e bisogni di una generazione dalla classe politica.

L'idea di un rapporto critico e funzionale nei confronti della politica, la pratica dell'obiettivo, l'unità nella contaminazione, la matura autonomia, la capacità di autorganizzazione: sono questi elementi a contraddistinguere questo nascente (?) movimento come un po' figlio e prodotto dei movimenti globali e pacifisti degli scorsi anni.

Il disegno di legge Moratti si chiama "riordino dello stato giuridico della docenza universitaria" e riguarda la precarizzazione dei percorsi professionali di ricercatori, dottorandi e aspiranti tali, una questione che tocca la vita e i bisogni di una sparuta minoranza del corpo studentesco. Eppure proprio quel provvedimento porta in piazza una manifestazione studentesca come non si vedeva da più di 15 anni. Il ddl di fatto allude e racconta la precarizzazione dell'esistenza di un'intera generazione, un processo che ha inizio fin dalle scuole e dalle università. Parla di una vita sempre più segnata da incertezza, instabilità, insicurezza. Chi scende in piazza rivendica innanzitutto il proprio futuro. Non a caso lo striscione d'apertura dell'enorme corteo recitava: "Il nostro tempo è qui e comincia adesso"&. Riprendersi il proprio tempo, rompere la precarietà come furto del tuo futuro, della possibilità di immaginare, progettare, costruire la tua vita fuori dal ricatto e dal dominio del mercato. Le esigenze e le aspirazioni di queste mobilitazioni studentesche rompono le mura delle scuole e delle università per nominare una condizione di vita nella sua complessità. Non è semplicemente l'università o la scuola che non vanno, è la vita, si potrebbe dire.

E' una generazione che con i suoi comportamenti concreti rivendica materialmente la libera circolazione della cultura e dei saperi, a partire dalla rete, in cui disobbedendo a recinzioni, brevetti e copyright scarica musica, video, cultura& E chiede di studiare di più e meglio perché l'insicurezza sul proprio futuro è imposta anche dalla qualità dei saperi trasmessi nelle nuove università come sono state ridisegnate dalle riforme degli anni '90, la Berlinguer-Zecchino in particolare: esamifici fatti di conoscenze segmentate e misurate con il linguaggio bancario dei crediti e debiti, corsi che assomigliano sempre di più alle classi di scuola con i loro esamini, modulini (i compiti in classe) e obblighi di frequenza (formali o sostanziali). Nel corteo si notavano due striscioni: "don't touch my brain"; "reclaim your brain". Giù le mani dai nostri cervelli, dalle nostre menti, ovvero dalla nostra vita. Come possiamo immaginare un'idea alternativa di formazione e dunque di società se non costruiamo una critica alla forma stessa con cui si definisce la circolazione e la socializzazione delle conoscenze e delle competenze? Come continuare a costruire battaglie semplicemente per aumentare gli accessi all'università senza indagare il fatto che essa servirà a fornirmi una serie di informazioni e conoscenze che (per il loro grado di tecnicismo) domani saranno già superate dalle esigenze del mercato, perché solo a questo sono finalizzate? Questo è il problema. "Il sapere che è potere, non conosce limiti né all'asservimento delle creature né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo. Esso è a disposizione di tutti gli scopi dell'economia borghese, nella fabbrica e sul campo di battaglia.... la tecnica è l'essenza di questo sapere. Esso non tende a concetti o ad immagini, alla felicità della conoscenza, ma al capitale". (Horkheimer-Adorno, La dialettica dell'illuminismo).