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Liberazione:Fatma che vorrebbe tornare a scuola...

E’ un sogno di breve respiro ma di grande importanza quello di Fatma...

12/08/2006
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Liberazione

Tonio Dell’Olio

E’ un sogno di breve respiro ma di grande importanza quello di Fatma, sfollata dal quartiere di Dahie a sud di Beirut e che incontriamo in una scuola: «Vorremmo tanto poter ritornare nella nostra casa - dice - il primo settembre, con l’apertura delle scuole. E se non fosse possibile in quei giorni, vi prego, non lasciate passare l’autunno». Lo dice con le lacrime agli occhi sopravvalutando sicuramente le possibilità di questa delegazione della società civile italiana che, assumendosi non pochi rischi, ha voluto tenere fede ad un patto di solidarietà e dal 5 al 9 agosto si è recata a Beirut. La richiesta di Fatma è qualcosa di più di un auspicio. E’ il segno che l’aiuto che si attendono i libanesi non è solo in termini umanitari e di prima necessità ma primariamente politico: la fine della guerra. Mi sembra quasi di ascoltare questa donna pronunciare le parole: senza se e senza ma. Tutto sommato la ripresa normale dell’anno scolastico rappresenta esattamente questo. Peccato che l’apertura puntuale delle scuole e la fine della guerra non siano nei nostri poteri. Siamo undici persone in rappresentanza di altrettante sigle del pacifismo italiano e della cooperazione non governativa (Ciss, Arci, Un ponte per, Assopace, Libera, Pax Christi, Tavola della pace, Servizio Civile Internazionale, Cric, Cooperazione e ricerca, Rete Lilliput) che hanno voluto portare in questa città già martire e ancora minacciata dalla guerra un segno di solidarietà. Quando una persona amica non sta bene o è ricoverata in ospedale, non vai a trovarla perché la tua visita ha il potere di guarirla, ma semplicemente perché sai che incrociare il suo sguardo è importante. Fa bene. A entrambi. In questi anni la cooperazione, il movimento dei forum sociali, le assemblee perugine dell’Onu dei popoli, le tante occasioni di eventi internazionali… hanno stretto nuovi legami di solidarietà e di amicizia tra tante e tanti. Quando si dice Senegal viene in mente un volto, si parla di Colombia e ci si ricorda di una storia, si pensa al Libano e si materializzano i volti di coloro che abbiamo incontrato e che abbiamo conosciuto. Non ci sono più terre anonime, non ci sono più popoli sconosciuti. L’indifferenza è stata cancellata da tempo dal vocabolario dei movimenti sociali! Per questo, soprattutto coloro che trattenevano già da tempo relazioni di cooperazione e di amicizia con il Libano non hanno esitato a ritornare per incontrare queste persone. Ma forse avevamo sottovalutato la società civile di questo Paese che è riuscita ad organizzarsi in rete e a coordinarsi per rendere efficace il proprio contributo in questa prima e terribile fase del conflitto. Non solo aiuti e assistenza, che pure stanno cercando di far giungere alle zone su cui i bombardamenti si sono particolarmente accaniti, ma anche l’organizzazione dell’accoglienza degli sfollati in scuole e centri, nei giardini pubblici e nelle case private dei quartieri che le bombe le sentono solo da lontano come un’eco. Non solo aiuti ma anche proposta politica in cui rivendicano un ruolo e chiedono con forza che la comunità internazionale faccia passi decisi e non solo dichiarazioni di principio per far rispettare quel diritto internazionale che essa stessa ha partorito a garanzia della pace e che oggi viene sbeffeggiato col clamore dei missili e delle bombe, con lo sconfinamento nell’altrui sovranità nazionale, con l’aggressione sulla popolazione civile inerme. Le case che abbiamo viste distrutte e ridotte in macerie non potevano essere abili nascondigli di temibilissimi terroristi e, quando mai lo fossero stati, mai sarebbero valsi quanto la vita di uno solo dei bambini sepolti sotto quei cumuli di polvere e calcinacci. E’ acre e macabro l’odore di morte che ancora non riesco a cancellarmi di dosso e forse nemmeno voglio che sparisca. E’ come un pegno che voglio pagare (ben poca cosa rispetto alla morte di tanti) per un’umanità di cui a volte mi vergogno di appartenere. Ma poi ripenso ai miracoli che avvengono anche qui e anche ora. Nei campi profughi palestinesi in cui ancora dovrebbe essere tangibile il sapore di vecchi rancori e addirittura di discriminazioni, tutti sono pronti a far posto ai libanesi sfollati dal sud e ora ospitati tra queste povere case, precarie, piccole ma solidali. I miracoli di Beirut durante la guerra dove un drappello di società civile italiana ignorata dalla stampa nazionale, ha l’onore delle prime pagine sui giornali del Medio Oriente, viene ricevuto dal presidente della Repubblica e dal primo ministro e ha il privilegio di incontrare i feriti negli ospedali perché in questa terra, se è possibile, cresca solo un odio: quello nei confronti della guerra e della violenza. Le bombe, infatti, seminano morte e odio, la solidarietà pone i semi della vita nuova. Il miracolo ancora più vero sarebbe vederne crescere gli arbusti, i fiori, i frutti… prima dell’inizio della scuola.

11 agosto 2006