Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Liberazione: I precari: «Via il Dpef. Ci vediamo a ottobre»

Liberazione: I precari: «Via il Dpef. Ci vediamo a ottobre»

Una grande assemblea a Roma lancia un movimento inedito per cancellare la flessibilità, la Bossi-Fini e le “riforme” Moratti

09/07/2006
Decrease text size Increase text size
Liberazione

Checchino Antonini

Il più “infame” tra i lavori precari potrebbe essere quello dei marittimi dello Stretto: contratti “a viaggio” da 40 minuti. Che poi una delle società ad applicarli si chiami Caronte (fa capo al presidente del Messina calcio) rende appena più macabro il quadro già fosco. Anche Tatiana è precaria, guida gli autobus a Roma. Prende il microfono ma parla di altri precari, più precari di lei che, magari, verrà assunta a tempo pieno. Parla dei lavoratori che riparano il suo autobus, gli “esternalizzati”, e racconta degli “invisibili”, ancora più precari di quelli, che proprio lei, di buon mattino, accompagna di fronte agli “smorzi” (rivendite di robe per l’edilizia) dove aspetteranno un’offerta di lavoro. Al nero, si capisce.

Per la prima volta la galassia della precarietà ha un teatro a sua disposizione. Stavolta sono proprio i lavoratori a raccontarsi, anziché assistere alla messa in scena della loro “flessibilità”. E mentre si raccontano spunta una piattaforma per l’autunno - per l’abolizione di legge 30, Bossi-Fini e “riforma” Moratti - e arriva una critica feroce al nuovo Dpef. Se quel documento non cambierà, spiega il dispositivo finale, sono pronti a scendere in piazza anche contro le lacrime & sangue della finanziaria. Applausi di solidarietà per il ministro Ferrero, in sala, che la sera prima non ha voluto votare i tagli della “manovrina. In platea un migliaio tra precari, studenti, delegati sindacali di Cgil, Cobas, Sult, Sincobas, Usi e volti più e meno noti di movimento da Bernocchi a Beni a Casarini. Un altro ministro, Fabio Mussi, tra le poltrone imbottite del teatro, e un sottosegretario, Alfonso Gianni, tre segretari categoriali della Cgil, un segretario di partito, Franco Giordano di Rifondazione e quasi tutti i “suoi” parlamentari. Unica assente, in polemica aperta con i promotori, la Cub-Rdb.

A voler utilizzare una metafora teatrale, la “prima nazionale” di “Stop precarieta. Ora! ” - questo il titolo dell’assemblea nazionale di ieri mattina al Brancaccio, è stato un successo di critica e di pubblico. Tanto che s’è deciso di replicarne nei territori la formula, l’impasto di storia e piattaforma, almeno fino al corteo che si svolgerà a Roma entro la fine di ottobre. Se non s’è ancora annunciata una data precisa è solo per rispettare i tempi di ciascuna delle anime presenti. Ma un progetto così, ha spiegato al termine Giorgio Cremaschi della Fiom (parlando da un megafono perché s’erano sforati i tempi e l’amplificazione è stata staccata), non s’era mai visto. La Cgil e quelli che si facevano chiamare disobbedienti, i sindacati di base e i collettivi della Sapienza, quelli di Atesia (call center romano per 4mila addetti dove regnano licenziamenti politici e illegalità) e precari “soli” come l’orchestrale dell’Arena di Verona, “flessibilissimo” da 27 anni e il suo “collega”, portuale albanese che lavora a sei euro l’ora e dorme con altri otto in un appartamentino. Si racconta Amalia, precaria della scuola. Si racconta ai lavoratori Feltrinelli (che hanno ribattezzato “Effelunga” la loro catena, così simile in tutto a un ipermercato), agli occupanti sardi di Abbanoa che denunciano la privatizzazione dell’acqua (con centinaia di licenziamenti e tariffe più care), ai precari del comune di Milano, ai ricercatori dell’università, a quelli della Sogei, a quelli che non riescono a prendere la parola per ragioni di tempo, ai romani di Action che incassano la solidarietà per gli arrestati del 6 novembre, precari anche loro. Arrivano dal Viminale quelli del Tavolo Migranti che hanno strappato un appuntamento per mercoledì alla sottosegretaria Lucidi.

Quello che prima divideva, la precarietà, ora sembra tenere insieme. Perché è ormai pervasiva, attraversa le generazioni, intreccia i Nord e i Sud, s’è insinuata nel pubblico, straripa nella scuola. Lo spiegano negli interventi - che annunciano la proposta di un grande corteo a Roma, per un sabato di fine ottobre anticipato, come suggerisce Casarini, da una giornata di azioni - tanto Rinaldini, segretario generale Fiom, che Paolo Beni, presidente Arci. «Bisogna incidere sui processi», dice il primo. «Rilanciare il lavoro come fattore di emancipazione, pensare a un nuovo welfare», spiega il secondo. Con Bernocchi, dei Cobas, che richiama la lezione francese, la vertenza vittoriosa contro i Cpe e ricorda che l’80% della precarietà si deve al pacchetto Treu. C’è da mettere mano anche lì. E infine se la prende con la «sciagurata logica della riduzione del danno sulla guerra e sui Cpt». E tutti a bocciare il Dpef, anche Panini, leader della Flc Cgil e il suo omologo della funzione pubblica Podda: non va bene, colpisce settori sensibili e non segna discontinuità. Non c’è spazio per la concertazione. Su quello spazio ora c’è il movimento. «Indisponibile a mediazioni - commenta Michele Di Palma, coordinatore nazionale dei giovani comunisti - anche sul Dpef».

«Le storie, alla fine, si somigliano tutte. Ci vuole qualcosa di concreto», scalpita Luisa, operatrice di call center a Cagliari. «La narrazione va elaborata - suggerisce Frankie dei chainworkers milanesi. l’impresa ha vinto perché è stata capace di produrre simboli».

Ma tutta questa precarietà ha avuto bisogno di raccontarsi prima di scoprire che è possibile, tra chi contava solo sulla centralità del lavoro e chi gli sostituiva quella del reddito, il «percorso comune di vertenze, conflitti e revisioni normative», che annuncia nell’introduzione, Sergio Giovagnoli dell’Arci. «C’è voluto tempo (il primo sciopero separato della Fiom fu il 6 luglio 2001, prima di Genova) per arrivare a un percorso segnato da parole d’ordine così radicali, perché sulla precarietà non esiste riduzione del danno», avverte Flavia D’Angeli, responsabile precarietà del Prc nazionale, dal tavolo della presidenza.