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Liberazione-Il problema del mestiere (o della professione, o delle professioni?)

di Domenico Chiesa Il problema del mestiere (o della professione, o delle professioni?) dell'insegnare rimane forse il nodo più critico nel processo di trasformazione che da decenni sta coinvolgen...

03/02/2004
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Liberazione

di Domenico Chiesa

Il problema del mestiere (o della professione, o delle professioni?) dell'insegnare rimane forse il nodo più critico nel processo di trasformazione che da decenni sta coinvolgendo la scuola. Lo stesso ricorrere alla ricerca di scorciatoie (dal "codice deontologico" alla "carriera" e alla revisione dello stato giuridico) è indicativo della mancanza di un quadro di riferimento forte e condiviso. Conseguentemente non è un caso che a livello di contrattazione, non si riesca mai a raggiungere risultati adeguati alla rilevanza del problema.
L'enfasi attorno al codice deontologico rischia di spostare il baricentro delle problematiche legate al mestiere dell'insegnare; si finisce con il legarsi alla troppo sterile contrapposizione tra un approccio che lo vorrebbe come "libera professione" (nella vecchia concezione del "docente di storia e filosofia nei licei") e uno opposto che lo ridurrebbe ad un'attività impiegatizia.

Si può pensare di superare questa antinomia operando verso un'idea di "professionalità in un progetto" in cui sia evidenziata la dimensione di vera professione più legata alla qualità della prestazione che all'orario di servizio senza però perdere il carattere sociale e collegiale; nella prospettiva di intellettuali e di professionisti che operano collegialmente in un progetto formativo condiviso.

L'insegnante è un professionista che opera in una istituzione ("organo" della Costituzione) finalizzata a realizzare un progetto educativo pubblico. È cioè il senso storico della scuola che sta alla base della natura dell'insegnare: non esiste una natura fuori dal contesto storico. Il vero problema della professionalità degli insegnanti non è allora riducibile alla ricerca in astratto di una definizione bensì all'individualizzazione di campi, azioni, percorsi che la possano far decollare e far corrispondere ai bisogni della crescita della scuola nella sua dimensione pubblica.

Rimane certamente importante e fondamentale rilanciare la centralità, sempre più offuscata, della libertà di insegnamento. La libertà dell'insegnamento assume la funzione di garanzia costituzionale della stessa libertà (al pluralismo, alla laicità) degli studenti: il diritto/dovere all'istruzione appartengono ai giovani cittadini in crescita e al patto costituzionale di convivenza sociale; gli insegnanti sono i garanti della piena realizzazione di tale diritto/dovere e la loro piena libertà culturale ne misura il livello di garanzia. In un'accezione di questo tipo la dimensione "individuale" non entra in contrasto con quella "collegiale", ne diviene invece l'elemento di base indispensabile ma che proprio nella collegialità può esprimersi in modo compiuto.

Professionalità collegiale e individuale
Alla personale dimensione culturale, espressa attraverso una libertà d'insegnamento consapevole, si affiancano la partecipazione alle scelte culturali delineate dal progetto nazionale e a quelle definite dal progetto dell'unità scolastica in cui si opera.

Si tratta proprio di operare sul come sviluppare la dimensione collegiale della professionalità degli insegnanti valorizzando quella individuale, come costruire e attivare momenti organizzativi intermedi tra il collegio docenti e il lavoro individuale nelle classi, come far crescere il protagonismo degli studenti, quale forma di gestione sociale della scuola è in grado di superare la scarsa significatività degli attuali organi collegiali.

Tra le tante funzioni che l'autonomia delle scuole può svolgere mi pare opportuno sottolineare - cosa spesso dimenticata - la possibilità di valorizzare i soggetti della scuola.

Altro tormentone è rappresentato dalla ricerca sulle figure professionali. Il dibattito sulle figure professionali è certamente importante ma è necessario che la professione insegnante continui ad essere pensata come complessa, collegiale, sociale ma unica. Le diverse competenze che la compongono non ne intaccano l'unicità che ruota attorno all'insegnare: progettare, governare e valutare processi di insegnamento/apprendimento. Capisco che questa affermazione possa sembrare provocatoria e forse anche vetero: allora vorrei chiarire meglio.

La nostra scuola sempre più si trova nella condizione paradossale di avere confini non definiti, incerti ma contemporaneamente non permeabili. E' proprio l'opposto di ciò che servirebbe: confini più precisi ma fortemente permeabili con l'esterno da cui risultare distinta ma non separata; serve un centro in grado di dare ragione del progetto complessivo e continuo a pensare che tale centro sia rappresentato dall'istruzione, intesa come formazione culturale, dalla quale possano definirsi tutte le altre dimensioni della scuola: la socializzazione, la formazione alla cittadinanza, la pre-professionalità, l'orientamento. L'attività scolastica opera su specificità conoscitive proprie ed è attorno a tali specificità che deve essere costruita la professionalità insegnante che non può essere intesa come una sommatoria schizofrenica di tante professionalità.

Unicità della professione non significa che tutti gli insegnanti debbano svolgere tutte le funzioni con le medesime responsabilità; è possibile individuare compiti di coordinamento, di ricerca, di formazione relativamente a specifiche competenze all'interno di un orario di servizio più flessibile.

Unicità della professione insegnante non significa che la scuola non necessiti dell'operato di altre professionalità: dal dirigente di sistema a quello amministrativo, dallo psicologo al bibliotecario, dal medico a esperti in particolari settori culturali. Tali competenze devono interagire con quella dell'insegnare, nella logica della permeabilità ma non rappresentano scalini della carriera dell'insegnante.

Il problema delle carriere
Problema dei problemi è da ormai troppi anni la ossessiva ricerca di una "carriera" per gli insegnanti. Eppure tutti i tentativi di concretizzate le proposte di "carriera" sono falliti non solo per la cocciuta resistenza dell'integralismo egualitarista: esiste una obiettiva difficoltà a definire e a riconoscere un processo di sviluppo professionale della professionalità insegnante che possa assumere i caratteri della "carriera".

Siamo sicuri che alla scuola e agli stessi insegnanti serva una "carriera"? Forse bisognerebbe avere il coraggio di accettare che proprio il concetto di "sviluppo della professione" è più adeguato al mestiere dell'insegnare. Significa promuovere l'incremento della responsabilità e dell'autonomia nel gestire il compito di lavoro.

Allora lo sviluppo della professionalità va sempre pensata come sviluppo della maestria/competenza nell'essere insegnante attorno a fondamentali competenze. È necessario riconoscere la centralità dell'insegnamento inteso come risultato di aspetti connessi alla progettazione, realizzazione e controllo del processo che porta all'apprendimento; allora: come individuare uno sviluppo della professione che non faccia uscire dalla centralità del lavoro in classe l'insegnante al quale si riconosce un incremento di professionalità?

Nelle tante proposte contrattuali sulla professionalità insegnante si sono sempre contrapposte due posizioni:
a. Bisogna (solo) considerare la qualità del fare scuola (il lavoro in classe). Per questo motivo, e in assenza di criteri per valutare il bravo insegnante, si accetta l'automatismo dell'anzianità (ma si sa che di automatico legato al passare degli anni vi è solo il diventare più vecchi e non più bravi). Diventato improponibile il solo criterio dell'anzianità si è provato a dire "misuriamo" tale abilità. Essendo impossibile misurare direttamente la grandezza "abilità ad insegnare", si sono cercati degli indicatori significativi (test, libri scritti, titoli accademici o di aggiornamento&.). Si è inoltre commesso l'errore di proporre lo sviluppo della professione in situazione di concorrenza tra gli insegnanti ("facciamo un concorso interno e un certo numero di insegnanti passa&").

Come si vede il terreno è minato e i danni possono essere maggiori dei vantaggi (annullamento della dimensione collaborativa tra gli insegnanti, concentrazione sugli indicatori del fare bene scuola piuttosto che sul fare bene scuola&).

b. Il lavoro in classe non è tutto e allora costruiamo uno sviluppo di carriera sulle attività altre (ma determinanti per il sistema scuola). Figure di sistema, funzioni obiettivo e quanto altro serve alla scuola. In questo modo però non si valorizza il lavoro dell'insegnare e quindi si penalizzano proprio quei bravi insegnanti che sviluppano, nel tempo, la qualità dell'insegnamento che produce apprendimento. Ci si è avvitati su questa contrapposizione e bisogna uscirne.

Forse partendo dal riconoscere che lo sviluppo e l'articolazione della professione hanno sempre come base il miglioramento dell'Insegnamento/apprendimento si potrebbe operare contemporaneamente su molteplici livelli, riconoscendo e valorizzando diversi percorsi di sviluppo della professionalità.

¥ Si può pensare che l'acquisizione d'alcune competenze permetta di acquisire crediti per passare ad altre funzioni o addirittura ad altri mestieri (dal dirigente al lavoro in Università).

¥ Si può pensare di costruire uno sviluppo della professione attraverso la possibilità di anticipare la progressione economica, utilizzando sia il lavoro didattico che permetta di valorizzare l'attività d'insegnamento, sia lo studio o la ricerca svolti (pubblicazioni, crediti legati a percorsi di formazione, ricerche svolte in ambito scolastico&), sia il riconoscimento degli incarichi assunti (coordinamento della didattica, di Dipartimenti, di Organi di programmazione, tutor e altre funzioni "aggiuntive").

Nessuna di queste forme di sviluppo/articolazione della funzione insegnante (attraverso l'arricchimento del profilo professionale) intacca però la sua unicità, nel senso che non comprendono la nascita di funzioni "altre" da quella centrata sull'insegnare. Mi pare che questo possa rappresentare un terreno su cui aprire la riflessione.