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Liberazione-Io lavoro e penso che...

Io lavoro e penso che... - Ricercatore a 800 euro al mese, la metà dei miei colleghi europei Mi chiamo Marco e sto per concludere il mio dottorato di ricerca in economia politica presso la fa...

22/03/2005
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Liberazione

Io lavoro e penso che... - Ricercatore a 800 euro al mese, la metà dei miei colleghi europei
Mi chiamo Marco e sto per concludere il mio dottorato di ricerca in economia politica presso la facoltà di economia dell'Università di Roma. Dopo essermi laureato all'età di 23 anni in scienze politiche con una tesi di teoria della crescita sulla new economy, ho conseguito un master in economia. Successivamente ho avuto l'idea di tentare il dottorato di ricerca e quindi di intraprendere la carriera accademica, non sapendo minimamente a cosa andavo incontro.
Lo studio previsto dal corso di dottorato è molto intenso poiché l'obiettivo è quello di rendere i giovani laureati non solo in grado di approcciare le migliori riviste, ma anche di poter arrivare a scrivere articoli meritevoli di pubblicazione sulle stesse.

Il problema è che questo lavoro creativo, il cui rendimento è strettamente legato alle novità che si riescono a portare alla letteratura più recente, non ha il minimo riscontro dal punto di vista della tutela economica e la ricerca, costantemente pressata dall'esigenza dei risultati di un certo livello, vive in una perenne precarietà. La mia borsa di dottorato dura tre anni e raggiunge appena gli 800 euro al mese, contro gli standard doppi dei paesi nordeuropei, che da sempre hanno una politica radicalmente opposta in tema di ricerca e innovazione.

Una volta conclusa la tesi, sorge il problema di rimediare nuovi fondi per finanziare la propria ricerca. Dato il taglio, o anche il finanziamento scarso, che le università italiane subiscono anno dopo anno, la diminuzione di assegni di ricerca costringe il "phd student" all'unica alternativa delle borse postdottorato all'estero. Inizia in questo modo la cosiddetta fuga dei cervelli di cui tanto si parla. Ovviamente, il desiderio per tutti è quello di ritornare quanto prima in Italia, vincendo un concorso da ricercatore dopo l'ottimo curriculum di cui il candidato si è dotato con l'esperienza pluriennale all'estero.

Anche questa speranza viene cancellata dalla riforma Moratti, che non fa che rendere ancora peggiore una situazione già drammatica. La riforma dello status giuridico dei docenti universitari elimina la figura del ricercatore, che andrà cioè ad esaurimento, sostituendola con figure a contratto (i co. co. co. sono aboliti nel settore privato non nel pubblico impiego, ndr) di collaborazione con il docente; anche per i professori di seconda fascia, gli associati, la sorte è quella di contratti a tempo. Insomma se la riforma fosse approvata, per un phd student come me, nel caso migliore di una brillante carriera, vi sarebbero cinque anni di co. co. co. rinnovati una volta con altri tre anni di associato rinnovabili una volta. All'età di 47 anni, finalmente, il candidato potrebbe aspirare a raggiungere una posizione stabile; in caso non riesca a vincere il concorso per professore ordinario, per lui scatterebbe la "disoccupazione".

La realtà è che da parecchi anni ormai il nostro paese vive un declino industriale proprio in virtù della sua politica sulla ricerca e l'innovazione; una politica che non è stata cambiata neanche in ottemperanza ai parametri di Lisbona, che evidentemente per i governi italiani non hanno l'importanza di quelli di Maastricht. Lì c'è scritto che bisogna spendere il 3 % del Pil per Spese in R. 'S., mentre noi stiamo pochissimo sopra l'1% e siamo il fanalino di coda dell'Ue. Questa è la triste realtà, anche aldilà del precariato che la Moratti vuole intensificare nell'università. Una società senza ricerca non ha futuro; dovrà continuare a competere sui settori low tech dove la competitività è sul basso costo, e quando viene meno la possibilità delle svalutazioni competitive, non resta che pressare sul costo del lavoro, soccombendo inevitabilmente a tutte le economie emergenti in primo luogo la cina. Non resta che puntare sulla qualità, come hanno capito anche Chirac e Schroeder. La Germania è in difficoltà sulla crescita della propria economia, ma il suo export a differenza di noi è in forte risalita proprio per queste ragioni. La nostra economia e il nostro welfare sono molto legati al destino dell'università e della ricreca e la Moratti non sembra ancora avrlo compreso.