Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Liberazione: L’insegnante: «Ma l’integrazione passa da qui»

Liberazione: L’insegnante: «Ma l’integrazione passa da qui»

Parla una delle professoresse dell’istituto “Naghib Mafhuz”. Per motivi di privacy non rivela il nome eppure avverte: «Con gli studenti nessuna barriera»

11/10/2006
Decrease text size Increase text size
Liberazione

Per motivi di privacy preferisce non dirci il suo nome ma è si presta a spiegarci come funziona la scuola “Naghib Mafhuz” di via Ventura e perché lei ha deciso di lavorarci. Paradossi di una strana storia. Lei è un’insegnante di materie umanistiche con quasi trent’anni di scuola pubblica sulle spalle e sostiene senza tentennamenti questo esperimento. Perché? «E’ l’unico modo - dice - affinché si possa concretamente verificare un processo di integrazione. Questo non può che passare attraverso la scuola. E’ un progetto - aggiunge - che si dovrebbe appoggiare e non ostacolare».

Perché dunque appoggiare questo esperimento?

Perché la comunità araba di Milano è numerosa e credo che possiamo vivere tutti insieme mantenendo ognuno la propria cultura e identità.

Come affronta l’insegnamento delle sue materie di studio?

Il mio problema maggiore è quello della storia. Quest’anno ad esempio dovremo affrontare temi come la storia della chiesa e del papato. Cercherò di raccontarlo come fatto politico e non religioso. Vorrei insegnare loro a leggere ed esprimersi in modo critico. Questi ragazzi hanno una capacità di concentrazione più elevata e una memoria più allenata rispetto ai loro coetanei italiani. E poi sono abituati al dovere: tutte le classi iniziano le lezioni alle 8.30 e terminano alle 14.30 per portare avanti i due percorsi (programma egiziano ed italiano, N. d. R.). E’ molto impegnativo e non essendo una scuola legalmente riconosciuta al termine di ogni anno scolastico gli studenti devono sostenere esami di idoneità per accedere all’anno successivo. Ad aprile le prove d’esame egiziane, a giugno quelle italiane.

Come si lavora con due programmi?

In questi primi giorni sono stata l’unica insegnate presente in classe per le mie materie anche se presto sarò affiancata da un’altra insegnante madre lingua araba con cui ci alterneremo in classe suddividendo le lezioni.

Tra gli insegnati italiani e egiziani che rapporto si è creato?

Le insegnanti italiane sono tutte donne mentre quelli di madre lingua araba sono per lo più uomini. All’inizio c’è stata qualche difficoltà di coordinamento, ma le abbiamo già superate e credo che si potrà collaborare in modo proficuo. Ogni settimana ci saranno riunioni e verifiche comuni.

Quali sono le maggiori difficoltà che ha incontrato?

Si è creato sin da subito un rapporto meraviglioso con i miei studenti, non ci sono barriere. Le maggiori difficoltà sono linguistiche, i ragazzi non parlano un buon italiano e hanno un vocabolario ridotto. Questo vale anche per quelli che provengono da coppie miste. Un problema che ritroviamo anche nelle scuole italiane
Perché alcuni ragazzi rifiutano di frequentare la scuola pubblica italiana?

Si sentono discriminati, non si sentono accettati. Molte ragazze che ho incontrato mi hanno raccontato che venivano continuamente prese in giro per il velo, insultate, addirittura prese a calci. La violenza psicologica arrivava anche dai loro insegnanti che cercavano di convincerle a non utilizzare il velo. Ma portare il velo nella loro cultura significa essere diventate donne, è un segno di emancipazione come per le ragazze occidentali è la mini gonna. Ho vissuto il caso di una ragazza che ha scelto di portare il velo senza alcuna forzatura da parte dei genitori perché sentiva la necessità di mostrare la sua identità e appartenenza al mondo arabo.

S. R.