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Liberazione: La Nestlè si compra una fetta di Università italiana

Ieri sono stati presentati i quattro progetti di ricerca che saranno interamente finanziati da Nestlè, con un investimento complessivo di circa un milione di euro

23/04/2009
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Liberazione

La Nestlè si compra una fetta di Università italiana

Daniele Nalbone

Ieri sono stati presentati i quattro progetti di ricerca che saranno interamente finanziati da Nestlè, con un investimento complessivo di circa un milione di euro, incentrati, come ha spiegato Manuel Andrés, «su argomenti coerenti con le priorità strategiche del Gruppo in area scientifica e di creazione di valore condiviso sui temi di alimentazione, sostenibilità e multiculturalità». Parole di moda, al centro dell'agenda politica dei paesi occidentali, come si è evinto dai lavori del G8 agricoltura che si è appena concluso a Treviso. Ma dietro questi termini così filantropici si cela in realtà la perpetuazione di Nestlè, stavolta con il benestare di trentuno università italiane, cioè di un modello di economia devastante per la popolazione e per l'ambiente.
Non a caso nei quattro progetti vincitori c'è poca multiculturalità, poca alimentazione ma molta sostenibilità economica. Il primo esamina "La reputazione dei cibi nei processi di decisione di consumo alimentare", allo scopo di «ottenere un modello di analisi per la misurazione dei criteri che condizionano le scelte d'acquisto alimentari». Se non è marketing, poco ci manca. Il secondo progetto riguarda l'«analisi del ruolo dei media nella costruzione e diffusione della rappresentazione sociale della sostenibilità»: in pratica, come "educare" i lettori-spettatori «influenzando di conseguenza i consumi». Il terzo è volto all'«individuazione di indicatori precisi dello stress idrico in agricoltura» attraverso rilevamenti aerei dei terreni da coltivare per ottimizzare le risorse d'acqua. Un progetto quasi inutile in Italia, ma evidentemente molto importante in grandi aree agricole come quelle, ad esempio, del Brasile, nazione tanto cara a Nestlè. L'ultimo progetto finanziato, invece, riguarda l'esatto opposto di processi sostenibili come potrebbe essere la filiera corta: è dedicato allo studio di «nuovi materiali polimerici per l'imballaggio di alimenti». Dubitiamo che di questo procedimento si possa avvalere il fruttivendolo sotto casa…ma forse può essere utile alla maggiore società agro-alimentare del mondo, presente in oltre 60 paesi, con quasi 500 stabilimenti produttivi e un fatturato di circa 51 miliardi di dollari, «il 25% del quale investito in ricerca» ha spiegato ieri il dott. Andrés. In fondo è solo «grazie a un prodotto come Nescafè che oggi il Brasile utilizza in toto il caffè prodotto, mentre prima il governo brasiliano non sapeva che farsene». Sfruttamento totale. Questo il motto Nestlè, che si tratti di forza lavoro, di terra o di ecosistemi.
Certo, data la situazione in cui oggi versa la ricerca italiana, un milione di euro per quattro progetti è qualcosa di irrinunciabile. Magari tappandosi il naso davanti al milione e mezzo di bambini che ogni anno muore per malattie e denutrizione causati dall'allattamento con latte in polvere (dati Unicef), uno dei prodotti di punta del marchio Nestlè. «Il numero di vittime causate dall'uso improprio del latte in polvere ogni mese equivale a quello causato dall'esplosione della bomba di Hiroshima nel 1945» dichiarò circa quindici anni fa l'allora direttore esecutivo dell'Unicef, James Grant. Ma l'epoca del boicottaggio è lontana. Siamo nel nuovo millennio: Nestlè può parlare di sostenibilità e multiculturalità. E l'università italiana di privatizzazione della ricerca.