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Liberazione: Per una scuola che miri a “teste ben fatte" e non a "teste ben piene"

E’ innanzitutto un libro utile quello che Chiara Acciarini ed Alba Sasso hanno recentemente dato alle stampe per l’editore Melampo. In “Prima di tutto, la scuola” colpisce l’ampia mole di informazioni, dati statistici, tabelle e grafici, che occupano quasi la metà delle 154 pagine del volume.

09/05/2006
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Liberazione

Luigi Saragnese
E’ innanzitutto un libro utile quello che Chiara Acciarini ed Alba Sasso hanno recentemente dato alle stampe per l’editore Melampo. In “Prima di tutto, la scuola” colpisce l’ampia mole di informazioni, dati statistici, tabelle e grafici, che occupano quasi la metà delle 154 pagine del volume.
Quanti si occupano di scuola, ma anche il lettore “normale”, apprezzeranno la chiarezza di una raccolta ragionata, frutto di un lavoro di ricerca e di scelta operata su una quantità di dati che, come dice Tullio De Mauro nella sua bella prefazione, spesso di presentano “dispersi in fonti diverse, dati Istat e dati ministeriali, elaborazioni Censis, dati Ocse, dati Cede, ora Invalsi, dati di inchieste e confronti internazionali sugli stati degli apprendimenti”. Sappiamo bene come spesso questa grande massa di informazioni viene utilizzata come sostegno “oggettivo ed inoppugnabile” per far passare tesi e programmi che, altrimenti, sarebbero privi di qualsiasi giustificazione. Si pensi ad esempio ai dati sul numero degli allievi della scuola italiana, utilizzati per molti anni per sostenere che la diminuzione dei fondi statali per la scuola era giustificata dall’andamento demografico in discesa. Ebbene, le autrici, rielaborando dati Censis e Miur, dimostrano che, dopo un effettivo decremento demografico avvenuto nella seconda metà degli anni Novanta, la popolazione scolastica del nostro Paese abbia ricominciato a crescere e che ciò sia dovuto soprattutto al forte incremento della scolarizzazione fra i cittadini stranieri. Un numero su tutti: gli allievi con cittadinanza non italiana sono più che raddoppiati, passando dall’anno scolastico 2000/01 al 2004/05 da 147.406 a 361.576.

Un altro dato assai significativo è quello relativo al numero degli insegnanti: quante volte, in questi anni, prima con i governi di centrosinistra e poi con il governo Berlusconi, i numeri degli insegnanti in servizio nella scuola italiana sono stati messi a confronto con quelli di altri paesi per dimostrare che gli insegnanti sono troppi in proporzione agli studenti e che “se è vero che guadagnano poco, è altrettanto vero che i loro stipendi non potranno mai aumentare fino a quando il loro numero non diminuirà fino a raggiungere la media Ocse nel rapporto alunni/personale docente”. Sappiamo che è su queste basi che è stata costruita tutta la politica di reclutamento del centrodestra, politica che ha portato, al di là degli sbandierati programmi di assunzioni del ministro Moratti ad incrementare incessantemente il lavoro precario nella scuola (con un fortissimo aumento delle supplenze annuali) e a ridurre il lavoro a tempo indeterminato.

Le autrici dimostrano che se, in effetti, in Italia c’è un rapporto studenti insegnanti inferiore alla media europea, occorre però considerare anche le differenze fra la scuola italiana e quelle di altri Paesi: il numero dei giorni di scuola (200 in Italia, 164 in Spagna, circa 172 in Francia) e delle ore di insegnamento, molto più alto in Italia per il Tempo Pieno e il Prolungato e per l’elevato numero di discipline nelle superiori. Inoltre siamo l’unico Paese nel quale l’integrazione scolastica dei disabili, portata avanti da 50mila insegnanti di sostegno, è completamente a carico dello Stato, mentre in molti Paesi europei tale funzione è svolta da istituzioni esterne, il cui personale non viene calcolato nel numero complessivo degli insegnanti. Né vanno, infine, dimenticati i 30mila insegnanti di religione cattolica il cui numero è recentemente aumentato per effetto di leggine ad hoc che li hanno fatti diventare docenti di ruolo a tutti gli effetti.

Se l’abbondanza di materiale documentario costituisce senza dubbio il piatto forte di “Prima di tutto, la scuola”, di grande interesse risultano anche i capitoli del libro che ricostruiscono il percorso compiuto dal nostro sistema di istruzione dagli inizi del secolo scorso fino ai giorni nostri e quelli in cui si prova a ridisegnare una prospettiva riformatrice autentica per la nostra scuola.

In questo quadro, solo la parte di analisi dedicata alla “stagione riformatrice del centrosinistra”, cioè alle politiche del primo governo Prodi e del ministro Berlinguer, ci è parsa poco convincente e in qualche caso reticente nel giudizio: il “riordino dei cicli”, la legge di parità, l’autonomia scolastica non entrarono in “corto circuito” solo per la difficoltà di “raccordare i tempi del processo riformatore”; il paradigma della scuola-azienda, della competitività fra le scuole, (che si affermò in molte scuole proprio grazie all’opera di troppi dirigenti scolastici di sinistra), l’inserimento a pieno titolo delle scuole private nel “sistema nazionale di istruzione”, anticamera del finanziamento alle scuole private, furono il punto di approdo di scelte e di orientamenti che in una larga parte della sinistra guardavano al mercato, alle sue leggi e alle sue virtù salvifiche come orizzonte nel quale muoversi e a cui ispirarsi e contro i quali la rivolta contro il concorsone fu non solo il manifestarsi di un malessere, ma il suo rifiuto di massa.

“La scuola meno”, come la chiamano Sasso e Acciarini, è la scuola della Moratti, che il ministro anticipa sin dall’estate del 2001 in uno scambio riservato di missive con Tremonti, quella che programmaticamente si caratterizza per l’obiettivo esplicito di ridurre l’impegno dello Stato per la scuola pubblica, l’Università e la ricerca, all’insegna della “libertà di scelta educativa delle famiglie” e della competizione pubblico-privato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: restringimento del diritto all’istruzione, meno ore di insegnamento, meno insegnanti, ulteriore abbassamento del livello culturale di un paese come il nostro, che continua ad avere il 20 per cento della popolazione in possesso della sola licenza elementare e il 33 per cento con la licenza media.

Certamente da condividere è la necessità, affermata da Chiara Acciarini e Alba Sasso, di un netto segnale di discontinuità, quale presupposto per una politica di autentico cambiamento rispetto alle politiche iperliberiste della coppia Moratti-Tremonti: dunque più investimenti, più impegno dello Stato per la scuola pubblica, per l’edilizia scolastica, la formazione, il reclutamento e la valorizzazione del lavoro insegnante, per l’estensione dell’obbligo scolastico e per il diritto allo studio.

La riflessione delle autrici sembra su questo punto andare nello stesso senso indicato in questi anni dal lavoro del Tavolo nazionale “Fermiamo la Moratti”, dal programma dell’Flc Cgil o da quello contenuto nella Proposta di legge di iniziativa popolare “Per una buona scuola della repubblica”: costruire una scuola che deve mirare ad “una testa ben fatta” come spiega Edgar Morin: “Cosa significa ’una testa ben piena’ è chiaro: è una testa nella quale il sapere è accumulato, ammucchiato e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione che gli dia senso. Una ’testa ben fatta’ significa che invece di accumulare il sapere è molto più importante disporre allo stesso tempo di: a) un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi; b) principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso”.