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Liberazione: Università, l’allarme dei rettori:«Basta tagli, bisogna investire»

Il decreto Bersani (meno 20% per i consumi intermedi) mette a rischio il funzionamento degli atenei. E la finanziaria non segue le promesse del programma

10/11/2006
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Liberazione

Checchino Antonini
Come sta l’Università italiana dopo 5 anni di Moratti Letizia (tanto per non prenderla alla lunga)? «E’ una grande realtà nello scenario internazionale - risponde Guido Trombetti, presidente della Crui, la conferenza dei rettori - ma sta consumando le sue riserve auree». Traduzione: già non c’è più una lira anche senza aspettare la finanziaria. Il mondo accademico è frastornato da due contrastanti messaggi spediti dal governo. Uno lo invia il ministro Mussi a proposito di provvedimenti normativi: il cosiddetto “pacchetto serietà” (per bloccare la proliferazione delle università telematiche e dei poli esterni, per mettere un freno alle lauree facili ottenute con un mucchio di crediti legati all’esperienza), la nuova agenzia di valutazione con membri esterni all’accademia (che gli studenti temono segni un nuovo passo verso la privatizzazione ma che rettori e governo sono d’accordo nell’immaginare che serva a controllare i risultati e non i processi), la modifica dei concorsi. L’altro segnale lo spedisce il ministro Padoa Schioppa «con la sua visione maligna dell’economia», commenta Paolo Saracco, segretario nazionale Flc-Cgil pensando ai tagli contenuti nella manovra. Tagli che fanno a pugni col programma dell’Unione per il quale, ricorda - esortando gli alleati a comportamenti coerenti - Domenico Iervolino, responsabile del settore per Rifondazione, «università e ricerca sono settori strategici su cui investire per la crescita democratica e civile».
Se la parte normativa piace ai “magnifici”, quella finanziaria contro cui la categoria scenderà in sciopero tra sette giorni, li lascia «angosciati», dice a Liberazione Marco Mancini, rettore a Viterbo e segretario della Crui mentre lascia la sala della Camera che ieri ha ospitato la presentazione della Relazione sullo stato degli atenei italiani.

L’università «produce il futuro, preserva e aggiorna la memoria - premette Trombetti - ma il presente incombe». E il presente su chiama decreto Bersani, il cosiddetto “taglia-spese”, e alle orecchie della Crui «suona come uno schiaffo, illogico e punitivo». Il decreto - che il ministro Mussi definirà «un errore madornale» - va a tagliare 200-250 milioni di euro sui “consumi intermedi” - biblioteca, mense, ecc... - e lede, secondo i rettori, l’autonomia universitaria sancita dalla “riforma” Ruberti di una quindicina di anni fa. I sacrifici rischiano di essere «mortali» perchè il Ffo, fondo di finanziamento ordinario, se lo succhiano quasi tutto gli stipendi. «Manca un miliardo di euro per tornare ai livelli di 5 anni fa» e il ritocco previsto dalla manovra, in assenza di eventuali miracoli, non copre nemmeno l’inflazione. Tagli che ogni anno vengono presentati come congiunturali ma che, invece, hanno un carattere strutturale, denunciano rettori come Salvatore Settis, che guida la Normale di Pisa. Così, con l’1, 1% del Pil destinato alla ricerca e lo 0, 88% per l’università, gli obiettivi di Lisbona si allontanano. L’Italia spende 7200 euro l’anno per studente contro i 9135 della Francia e i 9895 della Germania. Sono indicatori di quella che un sociologo, come Luciano Gallino, chiamerebbe «povertà pubblica».

Eppure la conoscenza è «l’arma totale» della democrazia per promuovere «la crescita dell’uomo e la convivenza civile», ripete Trombetti, matematico napoletano e rettore della Federico II. Dell’azione dell’università «oggi non è possibile fare a meno per costruire crescita e sviluppo di un modello di convivenza che superi divari e lacerazioni sociali e realizzi la partecipazione attiva e consapevole di tutti alla vita politica, economica e sociale», manda a dire il presidente della Camera, Bertinotti (assente all’evento per inderogabili impegni istituzionali) inserendosi sulla scia tracciata dal presidente Napolitano che recentemente, in più occasioni, s’è fatto portatore dell’allarme del mondo accademico.

La stagione di vacche magre rischia di oscurare l’autocritica - che Trombetti promette «efficace» - sull’attuazione del 3+2, la cosiddetta riforma del ’99, la Zecchino, che tuttavia Mussi reputa «un miglioramento». «Se il primo livello era pensato per anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro bisogna dirsi che l’obiettivo non è stato raggiunto», ammette il presidente Crui segnalando il persistere del tasso di abbandono tra il primo e il secondo anno (oltre il 20%), la proliferazione dei curricola (5434 contro i 2444 di prima della “riforma”, l’eccessiva frammentazione degli insegnamenti con la diminuzione del numero di docenti di ruolo per corso di laurea (da 21 a 11), la diminuzione delle immatricolazioni e l’impennata dei fuori-corso (46%). Su tutto spicca un numero, 49mila, tanti sono gli assegnisti che vanno a formare l’esercito di «servi della gleba», parole di Mussi, della ricerca italiana che pure conserva punte di eccellenza in alcuni settori ma è fondata sulla precarietà. Tra le voci “buone” della manovra c’è il fondo per un piano straordinario di assunzioni e l’esclusione del Ffo dai tagli del 14% stabilito dall’articolo 53. Resta irrisolto il nodo del taglio del 20% dei consumi intermedi che a fronte di «un risparmio modesto» provoca «danni non affatto modesti», spiega Mussi che prenderà la parola rompendo, di concerto coi rettori, la consuetudine che il ministro non replichi al termine della relazione. Qualcosa in Finanziaria si può «ancora modificare», dice Mussi ma l’annata «sarà magra». L’orizzonte immutabile è il patto di stabilità. L’angoscia dei rettori resta.