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Ma le colpe non sono tutte dei ragazzi

Maria Pia Veladiano

20/03/2014
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la Repubblica

ALLORA: è probabile che in principio studiare non sia preferibile a immergere le mani nella sabbiera che abbiamo appena allagato con lo scopo di costruire fortini e castelli. E anche, un po’ più tardi, è improbabile che trascorrere una giornata di primavera a scuola non sia preferibile ad andare al parco con gli amici. In una buona misura studiare è “innaturale” nel senso che l’apprendere è un piacere acquisito, che poi può riempire l’intera vita, e dare soddisfazioni e strumenti per vivere bene a molti, e quel che serve per difendersi dall’ingiustizia, per essere protagonisti delle nostre scelte a tutti. Una forma di autentico piacere ci deve aiutare a superare la fatica dello studio, del provare e riprovare, del restare lì a risolvere un problema o a fare una traduzione. Non è facile apprendere se non si sperimenta questo piacere. Certo, ci può essere la costrizione, che però non garantisce molto sul lungo periodo. Ma c’è la motivazione, e non si dà teoria pedagogica che non ne parli come di quel che deve accompagnare il lavoro di scuola. Motivazione come movimento infine
proprio, personale e spontaneo, che ci fa essere determinati a superare la fatica, a ripetere lo sforzo, e facilita anche questo che è un vero lavoro. E siamo tutti d’accordo. Solo che si fa presto a parlarne un po’ così.
Basta che ci siano insegnanti motivati, si dice. E rimane vero che l’entusiasmo di un insegnante per la sua disciplina è efficace per felice esposizione e contagio e così pure l’amore per l’insegnamento e la passione educativa lo sono. Poi però i ragazzi non vivono sulla luna e in un contesto in cui la scuola non conta perché la realizzazione personale nell’immaginario comune passa per altre strade, allora un supplemento di riflessione serve. Questo segmento dell’indagine Ocse-Pisa dice che i ragazzi che affermano essere importante applicarsi ed esercitarsi per ottenere risultati buoni di fatto ottengono risultati buoni. Possiamo rovesciare e dire che quelli che hanno ottenuto risultati buoni sono quelli che ritengono di essersi esercitati? In questo caso si può dire che parlano dalla posizione di chi i risultati li ha di fatto ottenuti. Ma anche loro non stanno sulla luna. Sono in un sistema scolastico che magari investe di più, magari proprio sulla matematica, perché le culture possono essere differenti e non è così scontato che l’omologazione dei risultati sia un bene e un successo. Ma anche senza allargare troppo, andrebbero correlati i dati con i sistemi scolastici, cosa che peraltro l’Ocse-Pisa fa e sono almeno dieci anni che si scopre che esiste una correlazione fra risultati, autonomia delle scuole, investimenti sulla scuola, considerazione sociale degli insegnanti, etc... Giusto perché ci ricordiamo che quando si parla di motivazione tutto si tiene. E perché non si finisca a parlare sempre e solo di quella degli insegnanti.
«Non voglio più vedere quaderni di scuola sul tavolo il giorno di Natale», ha detto un genitore pochi giorni fa. Solo che non lo ha detto a suo figlio dentro un parlar d’aiuto a programmarsi il lavoro, a distribuirlo in modo da santificare feste e apprendimento insieme. Lo ha detto ai professori, appunto.