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Macchè istruzione, è una vergogna

Paola Mastrocola

21/04/2021
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La Stampa

Lunedì prossimo si torna tutti a scuola. Parrebbe una stupenda notizia, ma a me non sembra che ci sia nulla di cui rallegrarsi e far festa. Per mesi abbiamo sognato che la scuola ripartisse. Per mesi abbiamo sopportato la reclusione in casa, le lezioni a distanza, lo studio solitario. Giorni e giorni incollati a un video. La difficoltà delle connessioni, la noia, la fatica. Ci siamo rassegnati a insegnare e studiare in questo modo triste e faticoso, sicuramente meno produttivo e meno gratificante. Abbiamo tenuto in piedi un barlume sfocato e insoddisfacente di scuola, purché qualcosa, seppur vago e imperfetto, ci desse l’idea di una continuità quasi normale. La scuola non doveva fermarsi e non l’abbiamo fermata. L’abbiamo allontanata, questo sì, in una distanza sofferta e surreale. Era l’unica cosa che potevamo fare, e l’abbiamo fatta. Siamo stati bravi, tutti noi, famiglie, ragazzi, insegnanti.

E i nostri governanti? Cos’hanno fatto per noi, mentre noi soffrivamo rinchiusi? Sei mesi! Come hanno usato questo lungo tempo a loro disposizione per provare a risolvere i problemi e provvedere alle infinite mancanze? Cos’hanno fatto per questa scuola a cui ci han detto in tutti i modi e per mesi, con le più viete formule retoriche, di tenere così tanto fino a proclamarla la loro prima priorità? Niente! 

Sappiamo da un anno che il problema è la trasmissione aerea in ambienti chiusi, attraverso l’aerosol, e non solo le famose goccioline dette droplets. Le scuole, le aule, sono ambienti chiusi. Vi si ammassa un gran numero di persone. I mezzi di trasporto altrettanto. Quel che andava fatto è molto noto, e fior di ingegneri e studiosi ce lo hanno ripetuto per un anno a suon di prove e documenti. Bisognava predisporre trasporti aggiuntivi, assicurare i posti alternati, magari prevedere orari diversi per l’entrata e l’uscita da scuola. Bisognava dotare ogni aula di filtri di alta qualità per la purificazione dell’aria, o rendere possibile il ricambio d’aria tra esterno e interno con dispositivi appositi. Bisognava prevedere un piano di distanziamento adeguato (non certo il metro tra bocca e bocca, che ormai si sa essere insufficiente). Si doveva insomma operare su tre fronti: trasporti, aerazione e distanziamento. Lo si sapeva almeno da luglio scorso, quando 239 scienziati internazionali sollevarono il problema con una lettera all’Oms. Sono passati otto mesi e nulla è stato fatto, nemmeno un tentativo. A parte i banchi a rotelle, ora accantonati in chissà quali magazzini o cantine perché inservibili. L’autunno è passato, è passato anche l’inverno e ora sta quasi finendo anche la primavera. E cosa facciamo adesso? Riapriamo! Non s’è fatto nulla di quel che si doveva fare, e l’unica cosa che sappiamo fare è riaprire. Così ci viene gloriosamente annunciato, che le scuole di ogni ordine e grado riaprono. Che gioco perverso è? A un mese dalla fine. Ci prendiamo maggio, il mese delle rose. Qualcuno dirà: Finalmente! Meglio tardi che mai. Ma vi sembra un risultato? L’anno scolastico è finito, e ce lo siamo comunque perso. Questa riapertura tardiva è solo una beffa, uno specchietto per allodole. E’ come dire: bene, ragazzi, ora potete riabbracciarvi e stare sereni e godervi la scuola come si deve! Siete contenti? Visto che bel regalo vi facciamo? Possibile che ci prendano così impunemente in giro? Si chiude e si apre quando ci sono le ragioni per farlo. Invece qui - è ormai evidente - aprire, chiudere, riaprire e richiudere sono decisioni a priori, astratte e senza fondamento. Decisioni che riguardano la politica e l’economia, indipendenti da riscontri scientifici; decisioni che si prendono a capocchia, così come soffia il vento del consenso. Le scuole oggi sono esattamente com’erano a ottobre. E allora perché riaprirle adesso? O erano sicure anche allora – e dunque perché le abbiamo chiuse? O non sono sicure nemmeno adesso e quindi perché riaprirle? Cos’è cambiato? Gli scienziati ci dicono che la situazione è ancora piuttosto grave, numero di contagi e morti giornalieri troppo alto, ospedali in affanno, piano vaccinale fortemente in ritardo. E dunque? Ci affidiamo all’aria di primavera? Al sole che, si spera, entrerà nelle aule? Se fossi giovane e gagliarda, guiderei una protesta gigantesca. Proporrei che nessuno torni a scuola, il 26 aprile. Basta. Che continuino a tenerla chiusa, questa scuola che hanno così ignominiosamente trascurato e ignorato. Noi non ci vogliamo entrare, in una scuola per la quale non s’è fatto nulla, e ci entreremo solo quando vedremo fatto quel che dev’esser fatto. Non siamo burattini, che possono prendere dal baule, rispolverare e rimettere sul palco a recitare, a loro piacimento. È una vergogna. I politici dovrebbero vergognarsi di rimandarci nelle aule nella completa assenza di ogni sicurezza, esattamente com’era un anno fa. Un anno passato inutilmente. Senza pensare ai costi, in contagi e vite umane, che gli scienziati avvertono di dover mettere in conto…

Indignazione è l’unico sentimento che provo, ora. Insieme a rabbia e sconcerto. Se penso alle migliaia di ragazzi e insegnanti che lunedì varcheranno la soglia delle loro amate scuole, quella soglia che hanno desiderato per mesi di varcare, non so immaginare il loro stato d’animo. Non credo che lo faranno a cuor leggero, pur nella gioia di tornare a uscire all’aria aperta, occupare i banchi, ritrovarsi, rivedersi con i compagni e gli insegnanti. Va bene, torneremo a scuola e cercheremo di prenderci qualche sprazzo di felicità. Perché così siamo, noi adesso: stanchi, e desiderosi di tornare a vivere. Ma la nostra gioia non potrà che essere una gioia appannata, velata di infinite preoccupazioni e timori. E dalla amara consapevolezza che nessuno, di coloro che dovrebbero pensare al nostro bene, ha fatto qualcosa per noi.