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Manifesto-Al via la battaglia dei contratti

Al via la battaglia dei contratti Voci su una "proposta" di Confindustria, contrapposta agli obiettivi del sindacato FRANCESCO PICCIONI Confindustria ha le idee chiare, ma alcune di queste idee so...

13/07/2005
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il manifesto

Al via la battaglia dei contratti
Voci su una "proposta" di Confindustria, contrapposta agli obiettivi del sindacato
FRANCESCO PICCIONI
Confindustria ha le idee chiare, ma alcune di queste idee sono decisamente contraddittorie tra loro. Segno che la "chiarezza" non copre tutto lo spettro dei problemi, ma soltanto quelli che potrebbero - e non sempre - gonfiare di nuovo le tasche delle imprese. Soltanto il giorno prima Luca di Montezemolo aveva avvertito il governo sul tfr ("riforma senza costi per le imprese"), minacciando la convergenza coi sindacati nel far fallire una riforma non concordata. Nelle stesse ore, dai think tank confindustriali, veniva lasciato filtrare uno schema di "proposta" su cui discutere la riforma del modello contrattuale. Il Corriere della sera metteva così nero su bianco quello che nessuno - se non qualche economista in vena di consigli - aveva fin qui osato dire: a) il livello nazionale della contrattazione va "snellito", riducendolo alla definizione di un "salario minimo" davvero minimo; b) il salario reale andrebbe quindi stabilito in sede di contrattazione aziendale, moltiplicando all'infinito i livelli salariali a seconda dello stato di salute della singola impresa; c) è prevista comunque una "clausola d'uscita" anche dal "salario minimo", da concordare a livello aziendale con i sindacati.

Il combinato disposto di queste tre "modifiche" è tale da annullare qualsiasi contrattazione seria, a qualsiasi livello. E' chiaro infatti che il minimum wage - quando bisogna nominare una cosa inaccettabile c'è sempre qualcuno che lo dice in inglese - verrebbe fissato al livello più basso, quello dell'azienda meno competitiva di tutto il sistema industriale. La contrattazione aziendale per "salire" oltre questo livello infimo risentirebbe di infinite variabili (radicamento e unità dei sindacati, possibilità o meno dell'impresa di minacciare delocalizzazioni, ecc), fino alla "clausola d'uscita" che apre la porta a qualsiasi abisso ribassista.

Su questa strada, che riportebbe il sindacato italiano all'inizio del Novecento, le confederazioni si sono ufficialmente messe di traverso, visto che tutte e tre tengono fermo il livello nazionale come baricentro di qualsiasi contrattazione. Se il quadro fosse questo, Confindustria si troverebbe a sfidare contemporaneamente il governo (su Irap, tfr, misure più incisive di politica economica) e i sindacati (su salari e politica contrattuale). Ma non sono certo mancati, nei giorni scorsi (a cominciare dall'intervento conclusivo di Pezzotta, che dava alla Cgil il 15 settembre come data limite per definire una "proposta di riforma" comune), i segnali di disponibilità a discutere - senza neppure aver visto finora uno straccio di documento ufficiale. E i giornali d'area confidustriale non risparmiano certo i commenti a favore di un isolamento della Cgil, che però ha il "difetto" d'essere di gran lunga il primo sindacato italiano.

Carla Cantone, segretario generale con delega alla politica contrattuale, si rifiuta naturalmente di "commentare una proposta che non abbiamo ricevuto", oppure "gli articoli di Ichino (editorialista economico del Corsera, ndr) e Marro (giornalista della stessa testata che ha "rivelato" la bozza di Confindustria, ndr)". Ma là dove c'è fumo (gli articoli di giornale) spesso c'è anche arrosto (proposte che bollono in pentola e che si fanno trapelare per "saggiare le reazioni"). Una reazione, perciò, si impone comunque: "Se l'idea che hanno è questa, siamo proprio lontani; significherebbe che Confindustria non vuole discutere la politica contrattuale". La Cgil, anche se la proposta finale fosse diversa da quella del Corsera, non si aspetta comunque "una passeggiata", anche perché "sicuramente tra gli industriali e nel governo c'è l'idea che il contratto nazionale deve diventare più `leggero' per `incentivare' il livello aziendale. Ma non c'è nessun divieto in proposito, negli accordi del luglio '93". E comunque "il contratto nazionale deve difendere salario e potere d'acquisto".

Sulle difficoltà evidenti dei sindacati a definire una proposta unitaria, la Cantone conferma la posizione della Cgil: "prima bisogna discutere e chiarire tra di noi quali compiti, ruolo e funzioni devono avere il contratto nazionale e la contrattazione decentrata, e solo dopo si passa all'architettura `ingegneristica' di una proposta" Le necessarie "correzioni" all'accordo di luglio '93 vanno per la Cgil in direzione di "rafforzare e non depotenziare il contratto nazionale ed estendere il secondo livello", includendo anche "coloro che ora sono esclusi, come i precari e gli atipici". Ma soprattutto, precisa, "bisogna che i lavoratori vengano consultati". E per questo va rimessa al lavoro la commissione sulle "regole democratiche". Anche perché "certe norme riguardano tutto il mondo del lavoro, non solo il rapporto con Confindustria. Come nel luglio '93, occorre un accordo con tutte le parti che anche lì erano presenti". La materia da definire è infatti "una politica redistributiva a favore del lavoro dipendente, che tocca prezzi. tariffe, fisco, welfare. Se manca tutto questo, come si fa?".