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MAnifesto:«Basta precari, Parigi insegna» Parla Epifani

Il segretario generale della Cgil spiega la sua proposta di «alleanza di legislatura»: un cammino comune per un vera riforma fiscale». Va bene la riduzione di 5 punti del cuneo fiscale ma una quota deve andare ai salari. Redistribuzione della ricchezza, giustizia sociale. L'abolizione dell'Ici? «Una favola, come sempre Berlusconi riduce le tasse degli altri, con l'attacco definitivo ai comuni»

05/04/2006
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il manifesto

NTERVISTA - LORIS CAMPETTI
«L' ultima trovata sull'Ici al «faccia a faccia» da Vespa è l'ennesima favola di Berlusconi che, ancora una volta, riduce le tasse degli altri. Se questa favoletta diventasse realtà sarebbe l'attacco definitivo ai comuni in quanto ne azzererebbe le funzioni: se non gestissero i servizi, i comuni non avrebbero più alcun ruolo. In concreto, credo si tratti di una delle tante promesse elettorali, così come avvenne con l'Irap, o le pensioni al minimo». Guglielmo Epifani non è «proccupato più di tanto: la maggioranza degli italiani ha capito con chi ha a che fare e non è disposta a correr dietro alle favole». Sui «coglioni» che votano a sinistra, o sul fatto che chi sta con Prodi starebbe con la Cgil e la Cina, dal segretario Cgil arriva solo uno sconfortato «no comment».
La Francia è in rivolta, l'Italia arranca. E dire che la malattia responsabile di comportamenti così diversi è la stessa: la precarietà. L'idillio che qualcuno aveva sperato - o denunciato - a Vicenza tra le cosiddette "parti sociali", unite dalla critica alle scelte di politica economica del governo Berlusconi, è già sfumato con la netta presa di posizione del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo: la legge 30 non si tocca. Di questo, di elezioni in Italia e della rivolta francese parliamo con il segretario generale della Cgil.

Allora Epifani, la legge 30 non si tocca? Come valuti la pressione politica sul futuro, sperabile governo dell'Unione, esercitata da Confindustria, poteri forti, Corriere della sera?

Penso che il messaggio di Montezemolo fosse rivolto più alla platea confindustriale che non a Prodi. I programmi dei due schieramenti politici sono abbastanza precisi, almeno sulla direzione di marcia e il capo degli industriali non può pensare che, se vincerà l'Unione, la legge 30 potrà sopravvivere così com'è. Dopodiché, è ovvio e persino comprensibile che l'impresa, i poteri forti, facciano il loro gioco nel tentativo di influire sul programma di governo.

Al congresso della Cgil hai parlato di accordo di legislatura ed è cresciuta per qualcuno la speranza e per altri la preoccupazione che le parti sociali che una volta si dicevano antagoniste potessero camminare insieme, nella stessa direzione, essendo comune la denuncia dei guasti provocati da Berlusconi. Definita la natura della malattia, resta però una differenza sostanziale sulla cura necessaria per guarire l'ammalato. Come vedi da questo punto di vista il programma dell'Unione e l'imbarazzo a sinistra sul tema delle tasse?

Anche i poteri forti esprimono un giudizio negativo sui cinque anni di governo della destra. Gli imprenditori denunciano il mancato sostegno dei prodotti italiani sui mercati internazionali e verificano quotidianamente come l'immagine del nostro paese sia gravemente compromessa all'estero. Contemporaneamente, in Italia è aumentata la spesa pubblica, il debito è salito e le tasse, dicono, non sono diminuite. Fin qui il giudizio negativo sulle politiche di Berlusconi è abbastanza simile al nostro. La Cgil molto tempo prima, e in solitudine, aveva denunciato il rischio di un declino dell'Italia. Apro una parentesi, per dire che nel programma dell'Unione alcuni impegni vanno nella direzione giusta: ma i cinque punti di riduzione del cuneo fiscale non possono certo finire tutti a vantaggio dell'impresa, con i salari ridotti nelle condizioni che sappiamo. Questo punto va chiarito bene. E c'è una novità positiva, relativa alla tassazione delle rendite. Più che di tasse io parlerei della necessità di mettere in moto un processo di ridistribuzione della ricchezza: la tassazione in questi anni non è stata neutrale e se per una minoranza di privilegiati è diminuita - attraverso sgravi, vantaggi fiscali, le operazioni sui patrimoni e l'abolizione della tassa di successione - al contrario è cresciuta la pressione su salari e pensioni, persino sul tfr.

Il risultato è che viviamo in un paese più iniquo.

Non solo. La politica fiscale di Berlusconi ha prodotto ingiustizie e iniquità, e al tempo stesso il paese è rimasto fermo. Sviluppo, giustizia fiscale ed equità sociale devono procedere di pari passo e costituire il cardine di un radicale cambiamento delle politiche economiche del nuovo governo. Non si regge l'autodifesa di Berlusconi che, per giustificare il disastro economico, se la prende con l'euro, con l'11 settembre e la sfavorevole congiuntura internazionale. E non si regge perché solo l'Italia è rimasta ferma al palo. Per venire all'accordo di legislatura, vorrei essere chiaro: se l'obiettivo è il cambiamento di cui sopra, è ovvio che devi mettere in moto un processo di trasformazione delle politiche, soprattutto fiscali, e ciò richiede il tempo di una legislatura. Non penso a chissà quali mega-patti sociali ma a un accordo fiscale che possa far camminare le parti sociali lungo un sentiero comune.

In un'intervista al manifesto il segretario della Cisl Savino Pezzotta ha commentato con parole amare questa campagna elettorale e ha criticato l'elefantiasi del programma dell'Unione dove c'è tutto ma mancano quelle quattro o cinque idee capaci di far sperare, e sognare una realtà diversa da quella in cui viviamo. Condividi questa critica?

C'è una verità nelle parole di Pezzotta. In questa campagna elettorale non c'è posto per sognare un mondo diverso. Come Cgil abbiamo dato un segnale positivo ai lavoratori e ai cittadini mettendo in campo una forte passione - ed è inutile che ricordi ai lettori del manifesto i grandi appuntamenti di massa di questi anni. Fuori da noi, anche nel nostro campo, di passione se n'è vista poca. Per non parlare di Berlusconi e della Casa delle libertà che hanno puntato al mantenimento del potere usando le armi della paura e dei pregiudizi ideologici, con un linguaggio e una cultura populiste. Nella campagna elettorale il centrosinistra era partito bene, ma in corso d'opera s'è fatto imporre l'agenda dall'avversario politico, invece di tenere ferme le proprie idee e il proprio stile

Soprattutto, il centrosinistra evita di affrontare i nodi più spinosi: la guerra, la precarietà. In Francia esplode la rivolta contro la legge che introduce i Cpe e la sinistra italiana sembra non accorgersene. Bisogna mandare a casa Berlusconi, guai a dividersi, parliamo d'altro...

La lotta in corso in Francia non ha da noi l'attenzione che merita. La destra fa finta di nulla, salvo arrivare a dire che da noi le cose vanno meglio perché la legge 30 è migliore. Ci sarebbe da ridere, se la situazione non fosse terribilmente seria. E la destra dimentica di dire che il governo Berlusconi è stato sconfitto nel suo tentativo di cancellare l'articolo 18, grazie a una straordinaria mobilitazione democratica. Il centrosinistra non sa come leggere i fatti francesi e rischia di non vedere la modernità della battaglia che stanno conducendo i giovani, gli studenti, contro il tentativo di precarizzazione di intere generazioni portato avanti da de Villepin. Non è solo una lotta difensiva, la loro, perché si pone l'obiettivo di conquistare un futuro e una dignità, come cittadini e come lavoratori, come la straordinaria riuscita della manifestazione di oggi (ieri, ndr) conferma. Ero a Parigi quando Chirac è intervenuto sui Cpe e sono rimasto colpito. Il presidente francese ha annunciato dall'alto le sue decisioni, ignorando la domanda forse più importante dei giovani che si battono con la forza e la determinazione di chi rifiuta un futuro come cittadino di serie B, quei giovani dalle cui fila uscirà la futura classe dirigente della Francia: chiedono democrazia, cioè il diritto a essere ascoltanti e riconosciuti come interlocutori. Anche le modifiche "concesse dall'alto" da Chirac tradiscono una delle ragioni della protesta e l'obiettivo della protesta: il ritiro della legge.

Quali affinità vedi tra la protesta francese e quella che in Italia ha sconfitto il governo sull'articolo 18?

In Francia sono partiti gli studenti che sono stati capaci di coinvolgere i sindacati e di conquistarsi il consenso della grande maggioranza dell'opinione pubblica. In Italia è partito il sindacato, la Cgil che è stata lasciata sola. Sola con la maggioranza dei cittadini italiani. Io rivendico il giudizio negativo della mia organizzazione sulla legge 30 e denuncio l'uso inaccettabile del termine flessibilità: la flessibilità c'è sempre stata e non può non essere contrattata. Ben altra cosa è la precarietà che viene imposta e produce soltanto insicurezza individuale e sociale. La lotta dei giovani francesi parla a tutti, a noi, alla Germania dove a due anni dalle leggi che hanno di fatto avviato un processo di precarizzazione è iniziata una riflessione persino dentro la Grosse Koalition, persino in settori democristiani. Sulla centralità e la dignità del lavoro, sulla lotta alla precarietà, la Cgil non mancherà di misurare continuamente la temperatura del nuovo governo, che naturalmente speriamo sia dell'Unione.