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Manifesto-Cambiare si può

EDITORIALE Cambiare si può GALAPAGOS Era il 10 marzo del 2000 e la new economy celebrava i suoi fasti brindando con un Nasdaq a quota 5.146. Ieri il Nasdaq era abbondantemente sotto i 2000 punti, ...

30/04/2004
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il manifesto

EDITORIALE
Cambiare si può
GALAPAGOS
Era il 10 marzo del 2000 e la new economy celebrava i suoi fasti brindando con un Nasdaq a quota 5.146. Ieri il Nasdaq era abbondantemente sotto i 2000 punti, il 155% in meno rispetto a quella quotazione record. I "risparmiatori" dovranno avere pazienza: il Dow Jones tornò sulla quota del 1929 solo nel 1953 e in questi giorni le quotazioni azionarie non danno molta soddisfazione a chi negli ultimi mesi era tornato ad affacciarsi sul mercato. Il crollo delle quotazioni azionarie è stato accompagnato dall'esplosione di scandali, di bancarotte e più in generale di società insolventi: Enron, Wordcom, Parmalat, Cirio, Giacomelli (ieri 5 personaggi sono finiti in carcere), Ntl comunications solo per citarne alcune. Ma, cosa assai più importante, il crollo delle quotazioni ha anticipato la recessione dell'economia mondiale. Oggi, a oltre quattro anni di distanza, l'economia globale appare in ripresa. Sufficientemente forte negli Usa, grazie alla politiche monetarie e fiscali espansive e di spesa pubblica finalizzata alla difesa (anche se il 4,2% di crescita annualizzata nel primo trimestre dell'anno ha deluso le aspettative); fortissima in Cina, debole in Europa, inesistente in Africa. Il tutto "aggravato" dal riaffacciarsi di tensioni sul fronte delle materie prime energetiche. Il mondo è sempre più unificato, ma al tempo stesso, diviso: tra i molto ricchi (pensate agli oligarchi russi o ai ricchi emiri) e i molto poveri che in tutto il mondo non si identificano più con i senza lavoro, ma abbracciano i ceti medio-bassi per i quali sta avanzando un processo di emarginazione sociale. Ma c'è una contraddizione in quello che osserviamo: di fronte a masse di neo poveri, cresce l'abbondanza di merci e l'eccesso di capacità produttiva. Quelle merci rimangono delle non merci, perché non c'è domanda in grado di acquistale. Perché la disuguaglianza dei redditi impedisce che la domanda inespressa diventi domanda effettiva. Di più: nei paesi ricchi c'è saturazione di merci: tv, telefonini, auto, elettrodomestici, tanto per citare i prodotti che ci sono più vicini. Allargare il mercato diventa una "necessità": per i paesi con scarsa presenza nel mercato high tech, come l'Italia, tutto diventa più difficile.

In questa situazione il capitale si guarda intorno, fissa gli occhi e punta le mani sulla privatizzazione di beni e servizi che appartengono, così ci dicono i giuristi, alla categoria dei diritti: la salute, il sapere, il futuro rappresentato dalla previdenza. Il modello da imitare è diventato quello statunitense. Ma il sogno americano sta diventando, per milioni e milioni di persone, un incubo.

Rinnegare il capitale per ora non si può. Si può tentare di seminare principi di democrazia nel sistema economico. Rilanciando l'offerta e la domanda pubblica; denunciando la truffa dei fondi pensione, applicando un modello fiscale che non sia la negazione del principio della progressività, proponendo un modello di sviluppo che non distrugga la natura. Insomma, cambiare si può.