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Manifesto: «Con i tagli della Gelmini il sud rischia il collasso»

UNIVERSITÀ Le critiche di Giuliano Volpe, rettore dell'ateneo di Foggia

26/07/2009
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il manifesto

Stefano Milani
«Più soldi alle università virtuose e tagli a quelle col bilancio in rosso». La notizia Giuliano Volpe, rettore dell'Università di Foggia, l'ha appresa direttamente dai telegiornali. Né una nota della Crui né tantomeno una comunicazione ufficiale da parte del ministero. E sempre dalla televisione ha potuto constatare che il suo ateneo è risultato ultimo a pari demerito con Messina, Palermo e Macerata.
Rettore Volpe era al corrente di questa classifica?
Assolutamente no. E mi sembra piuttosto grave che, cosa mai successa prima, si venga a conoscenza di un taglio così grave sul Fondo ordinario per le università 2009 solo a fine luglio, con l'oggettiva difficoltà di riordinare conti già resi difficili dall'attuale congiuntura economica in una fase così avanzata dell'anno e, soprattutto, di programmare i bilanci dei prossimi anni. Sono quasi tentato di fare ricorso, d'intesa con altri rettori.
Immagino lo farà con i colleghi delle università del sud, le più colpite dai tagli del ministro Gelmini.
Lo stato di difficoltà delle università meridionali è alla luce del sole, ora però con questa classifica rischiano di essere ulteriormente colpite nel finanziamento pubblico, essendo, tra l'altro, già ampiamente penalizzate per un livello mediamente assai basso di tassazione studentesca, a causa delle difficili condizioni economico-sociali in cui versano le regioni del sud. Nei parametri utilizzati dal Miur, inoltre, non sono mai considerati gli elementi di valutazione del contesto nel quale ogni università opera, come ad esempio il pil o il tasso di disoccupazione, né sono considerati gli obiettivi specifici di ogni ateneo: in Capitanata, in Puglia, nel sud, le università svolgono un ruolo importante di crescita culturale e sociale, di affermazione della legalità, di motore di sviluppo locale. Le università meridionali hanno recentemente dato vita ad una «rete» con l'idea di proporre al ministro un Progetto Sud: questi tagli rendono ora questa prospettiva una necessità.
Proprio sui parametri utilizzati per stilare queste classifiche ci sono state molte polemiche e perplessità da parte di voi rettori.
I parametri mancano di oggettività. Così concepiti, non potevano non colpire un'università giovane collocata in un territorio economicamente e socialmente debole come la Puglia settentrionale. Prendere in considerazione, infatti, la nostra ricerca solo in base ai dati del Civr del 2001-03, cioè pochi anni dopo la nascita dell'Università di Foggia, o sulla base dei Prin 2005-07 senza valutare i tanti altri progetti e finanziamenti regionali e comunitari, come i progetti strategici e pilota, la nascita del DARE (Distretto Agroalimentare Regionale, N.d.R.) o del CERTA (Centri regionali per le tecnologie agroalimentari, N.d.R.), che hanno visto il coinvolgimento di numerose imprese locali e che stanno dando una prospettiva occupazionale di qualità a tanti giovani laureati, significa soprattutto non voler tener conto del ruolo di una università meridionale nello sviluppo del territorio nel quale opera.
Anche sulla didattica il metodo d'indagine utilizzato dal Miur non è affatto chiaro.
Sì perché i parametri paiono privilegiare quasi esclusivamente il dato quantitativo, ovvero il numero di laureati in tempo, il numero di studenti che acquisiscono 40 crediti nel passaggio dal primo al secondo anno, e non quello qualitativo, con un esplicito invito a privilegiare iniziative opportunistiche di velocizzazione del percorso universitario con esami facili.
Ma non si era detto di voler premiare la meritocrazia?
Esatto, ma se avessimo regalato voti e esami oggi saremmo sul podio di questa classifica. È indubbiamente vero che, in particolare, nelle università del sud esiste un gran numero di studenti fuori corso, di studenti lavoratori, spesso occasionali e a nero, ed anche di studenti che, in un mercato del lavoro assai poco dinamico, considerano l'università una sorta di parcheggio. È anche vero, però, che questa situazione rinvia ad un problema sociale generale, che le università, come quella di Foggia, stanno già cercando di risolvere, sia con servizi di tutorato e di sostegno sia anche con incentivi e penalizzazioni nelle tasse in modo da sollecitare una maggiore regolarità negli studi.
Trento è risultata la più virtuosa e Foggia la meno, colpa solo delle risorse investite dall'università o anche dal contesto socio-economico-culturale in cui l'ateneo è costretto a rapportarsi?
Mi domando: è colpa dell'Università di Foggia se il tasso di disoccupazione nella nostra provincia è al 15,4% ed è al 2,9% in quella di Trento? Questi parametri, che sembrano costruiti per i Politecnici e per certi settori scientifici, mettono peraltro in crisi le scienze umanistiche, da sempre un vanto dell'Italia nel mondo. L'Università di Trento riceve notevoli finanziamenti dalla Provincia autonoma e altre università settentrionali sono largamente finanziate dagli enti locali, dalle fondazioni bancarie, dalle imprese, operano in città e territori più dinamici: in queste condizioni è certamente più facile essere virtuosi piuttosto che operando in un tessuto economico stagnante, in contesti privi di infrastrutture e servizi.
Insomma, i suoi colleghi al nord hanno qualche «aiutino» in più...
Non voglio fare un duello nord-sud. Sono felice per le università premiate e mi congratulo con i colleghi rettori. Soprattutto non vedrei nulla di male se, in una situazione in cui il finanziamento ordinario garantiva a mala pena la sussistenza, i premi fossero stati costituiti da somme aggiuntive destinate dal governo per premiare i «virtuosi». Quello che non mi va giù è che in realtà si toglie ad alcuni, più poveri, per dare ad altri, già più ricchi. Con questi tagli si pratica, dunque, una Robin Hood tax decisamente al contrario, per cui si sottrarrà, ad esempio, all'Università di Foggia circa un milione e duecentomila euro che finirà nelle casse del Politecnico di Torino, una briciola che si va ad aggiungere, tra gli altri, al contributo di 11 milioni che questa prestigiosa università ha appena ottenuto dalla Compagnia San Paolo.
Con il risultato?
Che la nostra università non avrà più fondi propri per la ricerca e pertanto rischierà di essere ulteriormente penalizzata dalle prossime valutazioni dell'Anvur appena istituita. Ci si impedirà oggi di sviluppare la ricerca, sulla base dei dati relativi alla ricerca di anni fa, quando la maggior parte degli attuali docenti non era nemmeno attiva nella nostra università. Infine, questi tagli rischiano di condannare quelle università, come la nostra, che hanno sempre avuto i conti in ordine, pur a costo di notevoli sacrifici, portando al di sopra del 90% il rapporto tra spese per il personale e Ffo, che invece abbiamo sempre tenuto sotto controllo, con ulteriori penalizzazioni. Insomma un vero e proprio circolo vizioso, che rischia di portare al collasso e alla chiusura.
Cosa risponde a chi vi accusa del «solito vittimismo meridionale»?
Noi pretendiamo di essere valutati, con rigore e serietà, non vogliamo assistenzialismo, ma chiediamo finanziamenti adeguati che tengano conto dei fattori di oggettiva difficoltà della realtà nella quale operiamo. E se l'Università di Foggia è in grado, come già accade ora, di attrarre, nonostante le debolezze che ben conosciamo, studenti da altre regioni o dall'estero grazie alla qualità dei nostri docenti, se contribuiamo a far crescere il numero di laureati (10.000 in questi primi 10 anni di vita) in una provincia che ha il triste primato del più basso numero (1,3%) di residenti attivi in possesso di una laurea, se riusciamo a far nascere società di spin-off, se depositiamo brevetti, se sollecitiamo l'innovazione nelle imprese o nella pubblica amministrazione, se sviluppiamo rapporti di cooperazione internazionale, ebbene, chiediamo che questi risultati vengano valutati positivamente e non semplicisticamente comparati con i risultati dei Politecnici o delle università settentrionali.
E se così non fosse?
Beh allora si abbia almeno il coraggio di dichiarare pubblicamente che si intende chiudere molte università del sud, soprattutto le più piccole poste in territori marginali, considerando un «inutile spreco» il loro difficile lavoro per la crescita delle società meridionali.