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Manifesto: Frammenti di un sapere diffuso

«Capitalismo cognitivo», un volume collettivo per manifestolibri. Brevetti, innovazione tecnologica, macchine informatiche e intelletto generale. Percorsi di ricerca e nodi teorici sulla contemporanea produzione di merci

08/08/2006
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il manifesto

Enzo Modugno
Il processo storico è l'oggetto della celebre analisi contenuta nei Grundrisse marxiani, specialmente nel «Frammento sulle macchine» e nelle «Forme che precedono la produzione capitalistica». Ed è questa analisi ad essere ripresa nel saggio di Carlo Vercellone che dà tono alla raccolta da lui curata per manifestolibri, Capitalismo cognitivo (pp. 294, euro 26) che presenta dodici saggi tra i quali la proposta argomentata di un «reddito di esistenza» di Andrea Fumagalli.
Vercellone dunque legge le trasformazioni del capitalismo recuperando uno dei momenti più alti dell'indagine su questo modo di produzione. E se ci volle un secolo per capire il capitalismo industriale, argomentare sul General Intellect - che per Marx era il sapere accumulato della società - potrebbe essere la strada giusta per capire il nuovo rapporto tra capitale e sapere. Si tratta tuttavia di una questione controversa, perché se è vero che c'è accordo nell'affermare che le forme attuali del capitalismo utilizzano come pilastro della produzione il General Intellect, è vero anche che non è altrettanto facile stabilire cosa sia oggi e dove si trovi questo sapere.
Ipotesi a confronto
Una prima ipotesi, ad esempio, afferma che il cervello umano è il mezzo di produzione del sapere. Un'altra ipotesi sostiene che questo ruolo spetta ormai alle nuove macchine informatiche. Presentando il saggio, Carlo Vercellone si fa portavoce di una posizione intermedia. Infatti diverge dalla prima ipotesi e forza l'ipotesi marxiana distinguendo tra saperi incorporati nel lavoro vivo e saperi incorporati nel capitale, sia materiale che immateriale (la ricerca e sviluppo, i brevetti e il software). Ritiene però che l'«intellettualità diffusa» giochi il ruolo principale, perché incorpora le conoscenze, mentre le nuove tecnologie incorporano soltanto informazioni, che resterebbero quindi una risorsa completamente sterile senza le conoscenze appunto dell'intellettualità diffusa.
Questa interpretazione quindi diverge dalla prima ipotesi, ma si differenzia anche dalla seconda, perché ripropone la questione del ruolo delle macchine, rifiutando però (questa volta utilizzando le opere dello storico inglese Edward P. Thompson) un certo determinismo tecnologico che considera la macchina a vapore il vettore della produzione industriale. Ma Vercellone spinge il rifiuto del determinismo tecnologico fino a negare l'importante ruolo svolto dalle nuove macchine informatiche nell'attuale processo produttivo. E tuttavia si può ricordare che per Marx c'è stata la macchina che ha dato l'avvio alla grande industria perché consentiva di «filare senza dita»: può oggi la macchina per pensare senza cervello aver giocato un ruolo simile nell'avviare il nuovo rapporto tra capitale e sapere?
Ma per rispondere a questa domanda va compreso di quale sapere si tratta. La filosofia del '900 aveva avvertito per tempo che con la matematizzazione del mondo, con la ragione ridotta ad accessorio dell'apparato economico, il pensiero sarebbe diventato uno strumento, una cosa, un utensile universale per la fabbricazione di tutti gli altri: e così reificato avrebbe infine prodotto una macchina capace di sostituirlo.
La ratio calcolante, dunque, appena comincia a diventare una macchina, diviene direttamente capitale fisso, mezzo di produzione. E al lavoro vivo rimane ben poco. L'«intellettualità diffusa» infatti conquista il diploma, ma perde definitivamente la formazione una volta fornita dalla scuola della riforma Gentile: l'unitarietà logica, la completezza del pensiero a cui ancora aspira, e che le si presenta come personale autonomia, ormai le sfugge senza rimedio. L'intellettuale se ne era appropriato a spese del lavoro manuale ma adesso una nemesi microelettronica gliela toglie.
Le conoscenze separate
La produzione di conoscenze infatti può ora impiegare lavoro mentale dequalificato perché non significa produzione di nuove conoscenze - questo è affaire per pochi supertecnici - così come l'operaio industriale produceva milioni di esemplari non il prototipo. Le conoscenze si staccano dall'esperienza del loro produttore diretto, perché ormai sono un algoritmo meccanizzato. Dalla cui applicazione è rigorosamente escluso il cervello umano che ne rovinerebbe l'affidabilità e l'operatività.
Il nuovo modo di produrre quindi non restituisce affatto la partecipazione della mente. L'immiserimento del lavoro mentale è dovuto alla meccanizzazione dell'intelletto astratto che lo priva di qualsiasi valore d'uso che non sia la sorveglianza dei processi automatici dell'attività di pensiero. E col valore d'uso perde anche valore di scambio, e la precarietà diventa una condizione generale e permanente.
Vercellone invece rivendica le conoscenze dell'«intellettualità diffusa». Ma questo sapere reificato, astratto e separato, e le macchine che ne derivano, portano segnati in fronte la loro genesi e la loro appartenenza a una società produttrice di merci. In altri termini: la separazione tra sapere e macchine informatiche è stata consumata e il lavoro mentale contribuisce al processo di produzione sociale senza avere alcun rapporto diretto con il sapere informatico. L'indispensabile termine di mediazione tra i due è dunque rappresentato dal capitale, che si impossessa del sapere quando il cervello umano diventa incapace di svolgere tutti i compiti richiesti dallo sviluppo del processo produttivo.
Le tesi sull'«intellettualità diffusa» non colgono quindi appieno il processo di immiserimento del lavoro intellettuale, che viene privato del suo lato soggettivo perché diventa necessario elevare la produzione di conoscenze dal piano individuale e ristretto dell'intellettuale, fino a generalizzarla a tutta la società. Un processo storico che porta infine alle tecnologie informatiche che sono dunque il mezzo di lavoro nella forma necessaria oggi alla produzione capitalistica. Esse realizzano il passaggio dall'attività individuale dell'intellettuale a un'attività sociale del pensiero adeguata al capitale.
L'intelletto meccanizzato
La meccanizzazione dell'attività dell'intelletto astratto, emancipata da ogni dipendenza dal lavoro mentale, diventa così un mezzo senza precedenti per esercitare il dominio sulle classi lavoratrici. Il capitale pertanto può usare ora consapevolmente le nuove macchine contro i nuovi lavoratori, li rende flessibili, delocalizzati, senza diritti: la precarietà diventa il principale supporto dell'accumulazione capitalistica. Il neoliberismo fonda in questo sviluppo delle forze produttive la sua necessità storica. D'altra parte però questa nuova figura di lavoratore mentale, proprio perché viene attaccata, spogliata e immiserita dalla nuova divisione capitalistica del lavoro, conosce intimamente le strategie del capitale ed è già ricchissima di capacità di lotta.
Sono, questi, temi che fanno discutere: questo libro li elabora a partire da una interpretazione che può non essere condivisa, ma ha il merito di averli riportati al livello dell'orizzonte marxiano, superando ostracismi accademici e dogmatismi impenitenti. E d'altro lato, recuperando la grande lezione marxiana che pone i processi storici a fondamento delle dinamiche dei sistemi economici, può affrancare la ricerca dalle teorie neoclassiche del capitale umano e da consimili interpretazioni.