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Manifesto: Giù dalla cattedra

Si infiammano le università. I docenti chiedono il blocco dell'anno accademico. Mentre gli studenti vanno in piazza contro la riforma Gelmini

15/10/2008
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il manifesto

Stefano Milani
C'è un avviso al secondo piano della Facoltà di Lettere della Sapienza, davanti alla porta d'ingresso del dipartimento di storia contemporanea: «Il prof. Bevilacqua rinvia a data da destinarsi l'inizio delle lezioni per protesta contro la legge 133 che condurrà all'emarginazione l'università pubblica». Il docente che lo ha affisso non è uno qualunque, è lo stesso che non più di una settimana fa ha dato il via alla petizione per bloccare l'inizio dell'anno accademico. E che, firma dopo firma, è riuscito ad arrivare a quasi quota 5000. Colleghi, accademici, ricercatori, uniti contro il famigerato ex emendamento Brunetta, ora decreto Gelmini, che prevede, tra le altre cose, il taglio del 20 per cento in cinque anni del fondo di finanziamento ordinario, la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato e il blocco del turn-over del personale docente che verrebbe attuato solo per un quinto dei posti rimasti liberi a seguito dei pensionamenti.
Tra i firmatari del documento c'è un altro professore sempre del primo ateneo capitolino, Roberto Antonelli, che è anche preside della facoltà di Scienze umanistiche. Ma una firma non basta, e così ieri ha riposto la penna e ha preso il megafono: «Questa è una riforma da bocciare e deve essere ritirata. Non è né una riforma né una controriforma è un omicidio che ha per vittima l'università e la ricerca: stanno facendo cose tremende anche al Cnr». Un attacco frontale che ha trovato gli applausi degli studenti che ieri hanno manifestato all'interno della cittadella universitaria per poi ritrovarsi davanti agli uffici della presidenza e cominciare un'assemblea spontanea che chiede di «ufficializzare» il blocco della didattica. «Il sapere non è una mercanzia, Tremonti e Gelmini li spazzeremo via» e «non pagheremo la vostra crisi» gli slogan più gettonati. C'è il placet di Antonelli, schierato con gli studenti non solo a parole: «Ho già invitato i docenti, con una circolare - ha detto - a valutare secondo il loro punto di vista l'opportunità di sospendere le lezioni e di discutere con gli studenti la situazione determinata dai tagli operati alle risorse dal governo». E la maggiorparte di loro sarebbe pronto fin da ora ad incrociare le braccia.
Chi la pensa diversamente da lui è il preside di Lettere, Guido Pescosolido, che tutto vuole tranne bloccare la didattica nella sua facoltà. «Siamo di fronte - ha detto detto ieri rispondendo indirettamente al collega Antonelli - ad una mobilitazione che non mi sembra avere un grande riscontro di massa, perché la maggior parte dei ragazzi vuole seguire le lezioni». Perciò il preside va avanti anche se con riserva, perché perfino il «duro» Pescosolido è costretto ad ammettere: «Il decreto deve essere oggetto di ridiscussione e di trattativa perché finora è stato un provvedimento imposto. Si tratta di un taglio duro e pesante, che avviene in modo uniforme, prescindendo da misure di interpretazione qualitativa, per cui alcuni settori scientifico-disciplinari potrebbero restare senza personale».
Anche a Napoli c'è aria di mobilitazione tra i professori universitari. Ne è convinta Luigia Melillo, responsabile dell'Associazione professionale universitaria e docente di Bioetica all'università Orientale. I motivi sono sempre gli stessi: «Questo governo sta sempre più mortificando la funzione pubblica delle università italiane» e concentrando gli sforzi «solo sulla volontà di privatizzarle e trasformarle in fondazioni». Così sono in molti, tra i suoi colleghi, che starebbero valutando la possibilità di fermarsi per un po' «a riflettere». Perché «in queste condizioni - aggiunge Melillo - per quale motivo, senza possibilità di carriera o di incremento di stipendio, un ricercatore o un docente universitario dovrebbero continuare ad accettare di prendere dei corsi in affidamento? Il malcontento è alto, tutte le sigle sindacali sono d'accordo e per questo - continua la titolare della cattedra di Bioetica -, si sta cercando di organizzare per i primi di novembre una protesta nazionale».
Aspettando che il fronte del no aumenti ancora tra i docenti, ieri all'Orientale l'assemblea "Stop Gelmini" ha interrotto il normale svolgimento del senato accademico consegnando ai presenti una lettera aperta in cui chiedono le dimissioni del rettore, l'annullamento dell'inaugurazione dell'anno accademico e il blocco della didattica a tempo indeterminato. A Torino, invece, un centinaio tra universitari, ricercatori e docenti aderenti all'assemblea "No Gelmini" si sono ritrovati ieri nell'atrio di Palazzo Nuovo per fare il punto della situazione della mobilitazione in città e per fissare le prossime date. L'appuntamento più corposo dovrebbe essere l'assemblea di ateneo prevista per il 22 ottobre. Ma è tutto il Belpaese accademico ad essere in fibrillazione. Assemblee, manifestazioni, occupazioni, blocchi ma non solo. Perché c'è chi le lezioni le svolge regolarmente ma preferisce i parchi pubblici o le piazze alle aule universitarie, come accade da giorni a Palermo e a Firenze.