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Manifesto-I maggiordomi della filosofia

I maggiordomi della filosofia Alcuni nuovi corsi post-laurea si chiamano "Consulenza filosofica". Ma il mercato del lavoro richiede attitudini che nessuna formazione "prêt-à-porter" può soddisfar...

27/09/2005
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il manifesto

I maggiordomi della filosofia
Alcuni nuovi corsi post-laurea si chiamano "Consulenza filosofica". Ma il mercato del lavoro richiede attitudini che nessuna formazione "prêt-à-porter" può soddisfare
MARCO BASCETTA
Alla metà degli anni Settanta, un gruppetto di neolaureati in filosofia, ovviamente disoccupati, freschi della lettura appassionata di Jacques le fataliste et son maitre e di quella, impervia, della Fenomenologia dello spirito, immaginò di organizzare un'agenzia che offrisse a un pubblico snob e danaroso noi stessi come personale di servizio con competenze (e astuzie) filosofiche: autista, maggiordomo, giardiniere, cameriere, "dama di compagnia". Provenendo dal mondo dell'eskimo e delle assemblee il problema sarebbe stato soprattutto quello delle buone maniere. Ma, pur in assenza di specifici "master" in questa materia, diversi settimanali femminili pubblicavano preziose rubriche di bon ton da cui trarre tutto l'insegnamento necessario all'uopo. D'altro canto il rapporto tra filosofia e condizione servile poteva contare su una solida e nobile tradizione, che non altrettanto poteva dirsi di quello con il lavoro salariato. Alla fine non se ne fece naturalmente nulla, ma c'è da scommettere che avrebbe funzionato. Difficile immaginare, allora, che l'idea di spendere il sapere filosofico sul mercato del lavoro sarebbe ritornata, non più come scanzonata provocazione ai limiti della goliardia, ma come seriosa programmazione didattica di illustri atenei, sostenuta da valenti studiosi (come, ahimè, Remo Bodei su queste stesse pagine il 16/9/2005) e venduta a caro prezzo sul sempre più fiorente mercato delle illusioni. Si chiama consulenza filosofica o, più suggestivamente, philosophical counseling, nuovissimo "master" che le università di Ca' Foscari, Federico II, Cagliari e Pisa offrono al precariato filosofico per la modica cifra - così riporta il Sole 24 ore - di 4000 euro. Una folta nebbia di luoghi comuni, retorica aziendalista e sostanziale incomprensione del modo di produzione contemporaneo cela in buona parte i contenuti e gli scopi della brillante carriera del consulente filosofico. Tra questi ultimi, Luigi Perissinotto (ma perché mai un serio studioso di Wittgenstein, deve prestarsi a simili farse?) indica la motivazione o rimotivazione dei dipendenti delle aziende, "per esempio quando una piccola azienda locale viene acquistata da una multinazionale". La quale, così almeno dice l'esperienza, più che di assumere filosofi licenzia operai. E perché mai dipendenti mal pagati, ricattati dalla precarietà, frustrati dal mobbing o dall'arroganza della gerarchia aziendale dovrebbero rivolgersi alla "consolazione della filosofia" piuttosto che a un comitato di base o a una struttura sindacale? Qui tra servo e padrone neanche la dialettica ti salva più. E di cosa avrebbe bisogno il personale medico, schiacciato dai tagli alla spesa sanitaria, dal sovraffollamento, dalle baronie, dall'insufficienza delle strutture? Ma beninteso di un filosofo (per i credenti meglio un teologo) che lo aiuti ad affrontare l'umana sofferenza. Quanti ne prevede la finanziaria? Non scherziamo. Lo sforzo convergente di convincere gli aspiranti consulenti di avere uno sbocco occupazionale, e lo "sbocco" di aver bisogno degli aspiranti consulenti è uno specchio troppo liscio anche per il più sofista degli arrampicatori.

Si potrebbe chiudere qui con un semplice suggerimento ai filosofi disoccupati di spendere i loro 4000 euro (qualora avessero la fortuna di disporne) in libri, viaggi, cinema e buona musica, che produrrebbero certamente esperienze ben più spendibili, anche sul mercato del lavoro, dei 12 mesi impiegati nell'assemblaggio di una tanto improbabile professionalità. Senonché, nei suoi tratti così spiccatamente grotteschi il master filosofico getta una luce particolarmente vivida sul disastro delle nostre università, sulla miseria dell'ideologia (sì proprio ideologia) dominante e sulla truffa dei master che la mette a profitto. I filosofi per primi, presumibilmente avvezzi alle asperità del rapporto tra teoria e prassi, dovrebbero sapere che il divario tra conoscenza, formazione e mercato del lavoro, oltre ad essere incolmabile, non è uno spreco, ma un principio di civiltà. Ma oggi, ahimè, le riforme dell'istruzione non le progetta Condorcet, che questo lo sapeva bene, ma Letizia Moratti che oltre un meschino calcolo costi/benefici non è in grado di spingersi. E disgraziatamente c'è chi la sta a sentire. Così, nella corsa alla fiera dei master (1653 ne offrono in Italia le "aziende" pubbliche e private della formazione secondo il censimento del Sole 24 ore) nessuno vuole restare indietro.

La fantasia dei progettisti della formazione postuniversitaria sembra non avere limiti nell'offrire risposte assurde a difficoltà reali, sfornando centinaia di presunte figure professionali, che non basterebbero le pagine gialle. Il mercato del lavoro contemporaneo si fonda però sempre meno su profili professionali definiti e sempre più sul passaggio e sulla disponibilità al passaggio da una figura a un altra, da un insieme di compiti a un altro insieme. In breve, su una agilità intellettiva svincolata da contenuti specifici. Nessuna, pur mostruosa, proliferazione di microspecializzazioni e professionalità studiate a tavolino è in grado di star dietro a questo processo. Anzi, risponde a una logica diametralmente opposta, predisponendo trappole senza via d'uscita. I requisiti, i talenti, le inclinazioni che alimentano l'innovazione e la crescita produttiva sono il risultato, oltre che di una generale acculturazione, di forme di cooperazione, relazioni sociali, facoltà ed esperienze, se non del tutto libere, almeno improgrammabili. Basterebbe esaminare l'incredibile eterogeneità dei curricula che sommergono la posta elettronica delle aziende per rendersene conto. Un giovane degli anni `60, o anche `70, difficilmente avrebbe esibito l'esperienza di animatore in un villaggio-vacanze per ottenere impiego in una casa editrice o in uno studio di commercialista. Ma ecco che abili mercanti della formazione, burocrati ministeriali e filosofi preoccupati di restar tagliati fuori dalla "managerialità" dilagante cercano vanamente di sostituirsi a questa molteplicità irriducibile di esperienze e all'ars combinatoria dei singoli, pianificando l'imponderabile e confezionando pacchetti di merce formativa da piazzare sul vasto mercato della frustrazione e dell'incertezza. La natura mutevole e contingente della domanda di competenze non fa che alimentare un fiorente mercato di professionalità prêt-a-porter tanto precarie quanto il misero reddito che raramente garantiscono. Il vecchio principio democratico della formazione permanente si trasforma così nella coazione all'acquisto permanente sul mercato dell'istruzione di microspecializzazioni approssimative, aleatorie e all'ultima moda, tanto più costose quanto più contigue all'immagine stagionale del successo (marketing, pubblicità, giornalismo e comunicazione in ogni salsa viaggiano intorno ai 10.000 euro). Con esiti occupazionali tanto scarsi e grami che nessuno si è dato la pena di quantificare, salvo esibire la solita storia esemplare dell'arrivista arrivato.

È questa la grande truffa dei master ai cui proventi, con relativo certificato di "imprenditorialità", davvero nessuno sembra disposto a rinunciare. Nemmeno i filosofi i quali, nell'affannosa ricerca di applicazioni spendibili della propria disciplina, non si avvedono che, semmai, proprio nell'assenza di applicazioni, nella generica dimestichezza con l'astrazione, nella libertà "oziosa" della riflessione, c'è forse qualcosa di spendibile (e disgraziatamente di sfruttabile) nei processi di produzione del nostro tempo. O, piuttosto, qualcosa che li ecceda e li scardini attraverso quella libertà del pensiero e gratuità dello scambio di conoscenze in cui è racchiusa ogni proiezione verso il futuro. Per il resto i preti, gli uffici del personale, le consulenze televisive di Paolo Crepet e l'opera omnia di Francesco Alberoni sono più che sufficienti.