Manifesto: IL DDL Gelmini mette a rischio l'autonomia
.
UNIVERSITÀ
Rino Falcone
Il disegno di legge Gelmini è un progetto ampio, confezionato senza confronto alcuno con la comunità scientifica, che esprime una svolta nella direzione di un esplicito dirigismo del ministero, e quindi del governo, sull'autonomia dell'università. A dispetto degli annunci di grande riforma degli atenei, del reclutamento e dello stato giuridico del personale universitario, punti non marginali vengono demandati a successivi decreti delegati, preparando un ulteriore esautoramento dell'autonomia universitaria. Particolare trascurato è il fatto che il ddl non si applica agli atenei privati che pure ricevono finanziamenti pubblici e che, di conseguenza, dovrebbero mantenere un'equiparazione normativa.
L'enorme problema che la legge non intende affrontare è quello di una riforma dell'università senza un piano di investimenti adeguato. Dal testo del ddl si capisce che siamo in presenza di un'oggettiva riduzione degli investimenti. I tagli introdotti dalla finanziaria dello scorso anno non sono stati rimossi e nel mondo scientifico si rafforza la convinzione di un'operazione di propaganda piuttosto che di un sostanziale rilancio. Ciò che davvero preoccupa è la possibilità offerta ai privati di contribuire significativamente alle decisioni strategiche delle università. L'ingresso nei consigli di amministrazione, e il travaso di molti poteri dai Senati accademici ai Cda, ne è la prova. In questa cornice, i poteri che vengono forniti ai rettori rischiano di produrre un organo con poteri molto rilevanti. Considerando l'introduzione della norma che concede la possibilità di trasformarsi in fondazioni private (legge 133/08) e lo strozzamento finanziario a cui le università sono sottoposte, si capisce come i rischi di stravolgimento possano essere molto alti.
Elemento decisivo per un giudizio sul decreto è la sottomissione del ministero dell'università alle decisioni di quello dell'economia. Di fatto le competenze di quest'ultimo si allargano in modo del tutto incomprensibile a questioni di merito che dovrebbero riguardare il solo ministro dell'università. Ritengo interessante l'introduzione dello strumento della tenure track (tre anni più tre di contratto a tempo determinato per i ricercatori ed eventuale assunzione come associato). Il fatto che, in parallelo, resti il più tradizionale percorso del concorso sulla base della abilitazione nazionale e dei concorsi di ateneo successivi, produce una curiosa duplicazione per il ruolo di professore associato. Nel giudizio complesso sull'introduzione di questa nuova figura, non si può ignorare che il ddl Gelmini è l'indice di una sottovalutazione della ricerca. Già nei principi ispiratori della legge ci si riferisce alle università essenzialmente come luoghi di formazione, piuttosto che come sedi per la "produzione" della conoscenza oltre che per la sua "diffusione".
Un giudizio serio non può che valutare positivamente l'intenzione di moralizzare i conflitti d'interesse che troppo spesso si verificano nel reclutamento dei ricercatori. Anche la proposta di accorciare il mandato dei rettori, come la decisione di ridurre i settori scientifici e disciplinari, risponde a una condivisibile esigenza di razionalizzazione, del resto indicata già nella passata legislatura. Il punto è che il numero a cui si vuole arrivare non appare ancora sufficiente. Quello che stiamo rischiando è una riduzione dell'autonomia universitaria.
*
ricercatore Istituto Scienze e Tecnologie della Cognizione - Cnr