Manifesto: «Il governo vuole insegnanti più servili e meno collegialità»
I PRECARI DELLA SCUOLA
Sara Farolfi
ROMA
Il telefono di Francesco, del coordinamento degli insegnanti precari di Roma, squilla in continuazione. È appena arrivata la «sorpresina» dalla questura, che ha negato il corteo di venerdì di studenti, precari e universitari - parallelo a quello dello sciopero Cgil - e in tanti ora chiedono lumi sul da farsi.
Dunque, cosa farete, quale percorso seguirete?
Cosa faremo lo stiamo ancora decidendo. È evidente però che l'obiettivo è quello di ridurre gli spazi di democrazia, si vuole impedire anche agli insegnanti di manifestare la propria rabbia davanti al luogo - il Miur - dove operano i più diretti responsabili del disastro che si sta perpetrando ai danni di scuola e università.
Avete comunque scelto un corteo parallelo a quello della Cgil, perchè?
Il corteo scaturisce da una serie di assemblee di movimento che ci ha visto in rapporto con gli studenti medi, gli universitari e alcuni gruppi di ricercatori. Lì si è spinto per un corteo unitario di movimento che portasse avanti le nostre parole d'ordine, un impianto complessivo di critica da cui non si torna indietro. Non cerchiamo e non c'è contrapposizione, vogliamo dialogare con il corteo della Cgil, e continuare a relazionarci ad essa come pungolo e stimolo. Una cosa d'altra parte si può dire: prima della nostra mobilitazione di settembre e ottobre, la Cgil aveva una piattaforma sui precari molto meno avanzata di quella attuale. Abbiamo poi rivolto il nostro appello anche ai sindacati di base, ma ha risposto solo l'Usi.
Ritorniamo sulla vostra piattaforma. Quali sono i punti sostanziali e quale scuola disegnano la riforma Gelmini e il progetto di legge Aprea?
Fondamentale è legame tra i diritti del lavoro e la qualità della didattica, a partire dal rifiuto di qualsivoglia piano di tagli: la scuola ha bisogno di investimenti. Chiediamo l'assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari sui posti vacanti, cioè sulle cattedre che già ci sono. Il disegno che invece emerge, tra tagli e future riforme, è quello di una scuola basata sul servilismo e sull'umiliazione della classe docente. Non solo. Il progetto di legge Aprea mina nel profondo la collegialità, creando gerarchie tra docenti, aprendo alle fondazioni e consentendo al dirigente scolastico di assumere gli insegnanti direttamente: favorendo cioè un meccanismo di ipercompetizione individualistica tra insegnanti che ridurrà i meccanismi della collegialità.
Nella vostra piattaforma chiedete anche «il ritiro dei patti territoriali tra Miur e regioni che aprono la strada alla regionalizzazione della scuola statale». Un processo già in corso, no?
Il meccanismo è già in atto, il pdl Aprea vorrebbe accelerarlo. Lo stato non vuole spendere più una lira, e scarica sulle regioni il finanziamento delle scuola. Così si crea una regionalizzazione della formazione, nemmeno tra nord e sud, ma a macchia di leopardo, e magari anche per motivi elettorali, perchè chissà, un presidente di regione alla vigilia delle elezioni potrà decidere di investire soldi.
Con il resto delle componenti del mondo della formazione, come avete intenzione di proseguire la relazione?
Abbiamo costruito un rapporto forte con gli studenti medi, a cui è andata la nostra soliderietà quando alcuni colleghi si sono chiusi nelle scuole per non farli occupare. Anche con gli universitari abbiamo iniziato un percorso, e abbiamo aderito all'assemblea del 20 novembre alla Sapienza. Dopo l'11, l'obiettivo sarà quello di approfondire gli elementi che ci unificano.