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Manifesto: Il regime illiberale della scarsità

Il rinnovato interesse per i beni comuni apre la strada a un'analisi che dall'acqua e dalla terra può spostarsi su dimensioni meno tangibili delle società contemporanee, come appunto la salute, la formazione, la conoscenza

04/05/2010
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il manifesto

Benedetto Vecchi
Nel film di James Cameron Avatar i nativi di Pandora si battono strenuamente per cacciare dal loro pianeta i mercenari al soldo di spregiudicate multinazionali che vogliono impossessarsi delle loro ricchezze naturali. Alla fine vinceranno la loro battaglia e i loro beni comuni saranno preservati. Un film è pur sempre un film, ma è significativo che Hollywood investa così tanti dollari in un'opera che, in un sottile gioco di allusioni, mette sul banco degli imputati i «ladri di energia» che hanno mosso la guerra per mettere sotto il loro controllo le fonti petrolifere di alcuni paesi arabi. Ma a ben vedere, l'opera di Cameron critica quel complicato processo che oltre, a legittimare l'espropriazione delle terre della foresta amazzonica, vuole ricondurre l'acqua e la salute al principio della scarsità, potente motore ideologico attraverso il quale il mercato è lo strumento ottimale per gestire risorse appunto scarse. È sicuramente segno dei tempi che gli Stati Uniti trasformino in un sofisticato prodotto della cultura di massa un ordine del discorso che interessava, solo fino a pochi anni fa, i movimenti sociali di opposizione alla globalizzazione liberista e qualche studioso, come il premio Nobel per l'economia nel 2009 Elinor Ostrom, autrice di un fortunato testo sulla gestione dei beni comuni che contesta la tesi sulla cosiddetta «tragedia dei commons», in base alla quale solo il mercato può garantire l'ottimale gestione della terra, dell'acqua, dell'energia.
D'altronde alla Casa Bianca è arrivato Barack Obama, sloggiando così il portavoce della lobby petrolifera con la promessa di un'inversione di rotta a quella «privatizzazione dello stato» così attentamente documentata da giornalisti militanti come Naomi Klein nel suo Shock Economy. Ma questa rinnovato interesse per i beni comuni apre la strada a un'analisi che dall'acqua e dalla terra può spostarsi su dimensioni meno tangibili delle società contemporanee, come appunto la salute, la formazione, la conoscenza. In questo caso, i paladini del libero mercato hanno un qualche problema per legittimare le enclosures di questi beni comuni. In primo luogo, il principio di scarsità non può essere applicato.
L'accesso, ad esempio, alla cura farmacologica di alcune malattie non pregiudica il fatto che quelle medicine possano essere facilmente replicate attingendo alla conoscenza tecnico-scientifica che è alla loro base. Anzi, più si studiano l'anatomia umana e i principi attivi di alcune sostanze si accresce la conoscenza, dando così vita a una sua applicazione per migliorare le medicine, oppure per produrre nuove prodotti. Lo stesso si può dire per la produzione culturale e informatica. La lettura di un testo filosofico o di un trattato sulla fisica quantistica non impedisce ad altri di farlo. E una volta compresi i concetti filosofici o scientifici può accadere che altri testi possano essere scritti, apportando significative elaborazioni di quell'accumulo di conoscenza presente nei libri studiati. Lo stesso si può dire per la visione di un film o per lo sviluppo di un software. In altri termini, la formazione, la salute, la conoscenza non sono beni scarsi, perché l'accesso ad esse non è mai esclusivo come può accadere per un terreno: a differenza dell'acqua e delle fonti energetiche, il loro uso da parte di qualcuno incrementa e non distrugge l'accumulo di sapere.
Il regime di scarsità viene però artificialmente introdotto attraverso il regime della proprietà intellettuale. I brevetti, il copyright e i marchi sono cioè gli strumenti giuridici per rendere scarsi beni che non lo sono. Allo stesso tempo, sono strumenti giuridici che favoriscono e poi legittimano la formazione di rendite di posizione e di monopolio appunto sulla produzione culturale e di manufatti «immateriali». La difesa dei beni comuni non riguarda solo l'acqua, la terra o la saluta, ma coinvolge altri ambiti della vita sociale è passa attraverso la critica e il superamento delle norme dominanti sulla proprietà intellettuale.