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Manifesto-Il senso perduto del lavoro-"Domani" Si sono perse le coordinate per affrontare il dopo Berlusconi

SINISTRA Il senso perduto del lavoro "Domani" Si sono perse le coordinate per affrontare il dopo Berlusconi MICHELE PROSPERO* Anche se il governo sopravviverà all'estate, un ciclo politico è in ...

07/08/2004
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il manifesto

SINISTRA
Il senso perduto del lavoro
"Domani" Si sono perse le coordinate per affrontare il dopo Berlusconi
MICHELE PROSPERO*
Anche se il governo sopravviverà all'estate, un ciclo politico è in via di esaurimento. Sul Corriere Galli della Loggia e Sartori non hanno dubbi. Si tratta di una crisi di sistema. Gli scenari che dipingono per il dopo Berlusconi divergono. Il punto fermo per entrambi è però che l'uscita di scena del cavaliere non segnerebbe un ricambio qualsiasi ma un autentico passaggio di fase. Lo schianto si udirà forte più in là quando tutti i soggetti dovranno ricollocarsi per l'assenza del vero asse portante del sistema politico della cosiddetta seconda repubblica. Gli aggiustamenti che vengono ora escogitati in estenuanti verifiche sono semplici rattoppi. Servono per tirare avanti ancora un po'. Berlusconi spera che stando in sella per altri due anni potrebbe intercettare la conferma di Bush alla casa Bianca e forse un po' di ripresa economica. E allora sì, con questi rifornimenti di ossigeno, che un pensiero lo rifarebbe per provarci di nuovo pur di non entrare nel buio del declino. Ma questi sono desideri al momento friabili, la realtà è ben più prosaica. Sta uscendo di scena il cavaliere che dispone solo di una coalizione ridotta a brandelli, e i guasti che ha provocato sono colossali. Le ilarità che le sue intemperanze verbali suscitano rischiano di coprire le lesioni profonde che ha prodotto. Il lungo ciclo del cavaliere ha logorato il repertorio della memoria e provocato abrasioni profonde sul corpo della repubblica. Non c'è più una memoria condivisa a dispetto delle incolori retoriche sulla bandiera e delle parate militari. I due miti fondativi, risorgimento e resistenza, sono stati sbeffeggiati. Nel revisionismo rugoso della destra persino i Borboni sono stati evocati con indomabile nostalgia. Il cavaliere che sta per andare via ha infranto il quadro simbolico della repubblica. La destra ha ridato nomi alle strade, inventato caricaturali programmi di storia, messo in questione libri, dissacrati i luoghi dell'antifascismo. Ha tagliato con una lama sottile il cassetto della memoria e ha proposto date simbolo alternative. Una bufera il cavaliere l'ha prodotta anzitutto sul piano dei simboli. Cioè sui fili esili che strutturano il senso comune di una nazione e che una volta spezzati è impossibile ricostruire. Quali forze reali sono oggi in grado di riformulare l'immaginario della repubblica? Sono troppo pochi i fili rimasti integri. Su questo piano il revisionismo della destra incassa una vittoria formidabile.

La destra ha poi strapazzato la costituzione dividendola in tre distinte zone di influenza: la parte sulla forma di Stato appaltata alla lega con i suoi deliri secessionisti, il settore della forma di governo affidata ad An con le sue nostalgie cesaristiche e il campo della giustizia accordata a Forza Italia con la sua ossessione di salvare la fedina penale del premier. Insomma anche per la destra aziendalista lo Stato si abbatte e non si cambia. Non brucia soltanto la ferita inferta ai principi di legalità con le leggi ad personam. L'ombra sinistra che manda sulla fragile legalità è poca cosa rispetto al disegno di sgretolamento dell'ordinamento costituzionale repubblicano che sta prendendo corpo in questo scorcio finale della legislatura. Chi dovrebbe reagire? La sinistra moderata che ha bollato come un marchio d'infamia proprio il "conservatorismo istituzionale" di chi nutriva dubbi sul nuovo titolo quinto della costituzione o sul premierato forte e sul semipresidenzialismo alla francese? La destra sta semplicemente raccogliendo i frutti avvelenati di un pensiero unico sul terreno istituzionale.

Un ciclone si è poi abbattuto sul senso stesso della politica. Il marketing è stato elevato a sistema di governo. Affari e politica: quale la sottile distinzione dopo il decennio berlusconiano? Era forse eccessivo il duro sguardo di cristallo di chi sollevava la questione morale ai primi segnali di degenerazione della politica. Ma la privatizzazione delle forme del politico ha compiuto passi giganteschi edificando luoghi impenetrabili in cui impresa, banche e politica si confondono. La sussidiarietà, la competitività tra i territori elevata a principio regolatore, la governance multilivello, che altro sono se non la riduzione della sfera pubblica a docile articolazione del mercato? E' evidente che non si può uscire dal fango indurito del berlusconismo senza una rimotivazione del pubblico e quindi senza uno sguardo critico sul mercato. Blair e gli altri potenti della terra che sentono l'attrazione fatale della villa sarda con ascensori piantati nelle rocce non rivelano solo un cattivo gusto, sono l'espressione di un tempo nuovo in cui la politica dei governi è spesso la prosecuzione degli affari con altri mezzi. E in questo antico meccanismo unico che riemerge nel cuore del postmoderno forse Berlusconi non è solo una anomalia, un incidente di percorso, ma un esemplare evocativo delle nuove forme politiche assunte dal capitalismo globalizzato. Le ragioni del pubblico così come la soggettività del lavoro appaiono sempre più come un esile stelo che trema nel fondo della burrasca neoliberista che trasforma gli imprenditori in politici di successo e i politici in scaltri uomini d'affari.

Certo, sono essenziali norme sul conflitto d'interesse, dispositivi sulla trasparenza. Ma basteranno solo questi espedienti per spezzare il meccanismo infernale dell'impresa che si fa Stato e decreta l'eutanasia della politica come spazio pubblico? Forse il problema rimanda anche al nodo del lavoro che non ha le energie per ritrovare le forme della sua autonomia politica. Ciò che manca alla reinvenzione della dimensione pubblica è proprio il lavoro e il perduto senso di un'identità collettiva che sfida le forme e le strutture del capitale. Nel crepuscolo del berlusconismo appaiono due sinistre. Una ha la maschera del potere e poggia sul fondo sempre più sfuggevole di chi ha reciso tradizioni e radici. L'altra ha il volto della resistenza e i tamburi della piazza. Due sinistre, è già la realtà di oggi. Ma è anche la soluzione? Il rischio è che per la sinistra moderata la pratica di potere sigilli il torpore di una identità bruciata. Oltre l'atto della gestione del potere, il partito degli eletti può permettersi solo una cultura arida. Ignota e impallidita la memoria di ciò che è stato, e reciso il progetto di un altro mondo, il partito degli eletti si concede solo una identità spenta. La seconda sinistra resiste all'estrema consunzione del progetto, si mostra refrattaria allo smarrimento di senso. Ogni azione collettiva è per lei un soffio vitale che risolleva i disegni di un mutamento. Ma la rassegnata ratifica dell'esistenza di due sinistre racchiude una sconfitta. Quello che ha fatto naufragio è il partito di massa capace di costruire cultura di governo ma anche di evocare l'altro. La scheggia antagonista e la scheggia moderata si separano e proprio così lanciano come irreversibile l'immagine del governo come tecnica intercambiabile che si chiude nelle inaccessibili cave segrete del potere. Al governo così non andranno mai le idee della sinistra.

*Docente di scienze della comunicazione, Università la Sapienza


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