Manifesto: La Cei attacca il Tar e la Gelmini fa ricorso
I vescovi criticano duramente il Tribunale amministrativo del Lazio: «Una decisione vergognosa e pretestuosa». In loro soccorso arriva subito il ministro dell'Istruzione che annuncia il ricorso: «È ingiusto discriminare la religione cattolica». L'Anm difende la sentenza e chiede «rispetto» Il ministro si appella al Consiglio di Stato contro l'esclusione degli insegnanti di religione dagli scrutini
Stefano Milani ROMA
Quando la Chiesa lancia l'allarme solitamente il governo risponde. Non fa eccezione neanche stavolta, e ci mancherebbe vista la posta in gioco così alta. La decisione del Tar del Lazio di mettere fuori dagli scrutini gli insegnanti di religione cattolica (e di conseguenza di considerare illegittimi i relativi crediti scolastici maturati dalla materia) ha fatto imbufalire, e non poco, la Cei che parla senza mezzi termini di «decisione vergognosa» e «pretestuosa». Poi aggiunge che «non tocca a noi fare ricorso», ma a qualcun altro. Non bisogna essere degli Sherlock Holmes per carpire la sottile, ma neanche poi tanto, richiesta all'esecutivo di risolvere, e pure in fretta, la spinosa questione.
Detto fatto, passano poche ore e i vescovi possono tirare finalmente un sospiro di sollievo. A tranquillizzarli ci pensa direttamente il ministro Gelmini costretta ad interrompere per un attimo la tintarella a Positano, giusto il tempo per emanare una nota in cui annuncia che ricorrerà al Consiglio di Stato contro la sentenza dei giudici amministrativi, rei di «limitare la libertà di chi vuole scegliere se frequentare o meno l'insegnamento della religione». Nella sentenza il ministro ci legge una discriminazione nei confronti di chi insegna questa materia per questo «non è giusto sminuire il loro ruolo, come se esistessero docenti di serie A e di serie B». La religione cattolica, conclude, «esprime un patrimonio di storia, di valori e di tradizioni talmente importante che la sua unicità deve essere riconosciuta e tutelata».
Meglio di così al Vaticano non poteva andare. Ma c'è voluta però una bella predica mattutina per far smuovere le istituzioni. Prima dell'aiutino governativo era, infatti, entrato a gamba tesa monsignor Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l'educazione cattolica, la scuola e l'Università, che dalle frequenze di Radio Vaticana aveva giudicato la decisione dei giudici non solo «povera di motivazioni» ma colpevole di «danneggiare la laicità dello Stato». Perché l'ora di religione non va solo «a sostenere scelte religiose individuali», ma «è una componente importante di conoscenza della cultura di questo Paese, con buona pace degli irriducibili laicisti e purtroppo dobbiamo dire con buona pace anche dei nostri fratelli nella fede di altre confessioni cristiane».
Monsignor Coletti parla di «bieco illuminismo»: «Se per laicità si intende l'esclusione dall'orizzonte culturale formativo civile di ogni identità si cade nel più bieco e negativo risvolto dell'illuminismo che prevede che la pace sociale sia garantita dalla cancellazione delle diversità e delle identità». Fin qui l'attacco alla laicità dello Stato. Poi arriva l'affondo alla magistratura. Per l'esponente della Cei, infatti, dietro la sentenza del Tar c'è «un atteggiamento pregiudiziale anche se non del tutto ideologico», che rischia di «incrementare il sospetto e la diffidenza verso la magistratura». Dice di non conoscere i giudici del Tar del Lazio anche se, aggiunge, «questo tribunale amministrativo ha una sua lunga storia che molti conoscono».
Un'insinuazione che non è affatto piaciuta all'Associazione nazionale magistrati. Per il numero uno del sindacato delle toghe Luca Palamara «è legittimo che i provvedimenti giudiziari possano essere criticati e noi non possiamo che ribadirlo, purché - sottolinea - le critiche siano espresse nel rispetto di chi emette i provvedimenti». Ma le critiche non piovono solo via radio ma anche nere su bianco all'interno dei giornali cattolici. L'Osservatore romano e L'Avvenire fanno a gara a chi ci va giù più pesante contro la sentenza dei giudici regionali del Lazio. Secondo l'organo di stampa del Vaticano «questa sentenza discrimina di fatto sei milioni di studenti che hanno scelto l'insegnamento della religione come materia scolastica», mentre per il quotidiano dei vescovi siamo davanti a «un tentativo alquanto maldestro».
Non la pensa così Giorgio Rembado, presidente dell'Associazione nazionale presidi (Anp), che senza mezzi termini ammette: «Sì, l'apporto della religione cattolica ha sicuramente contribuito positivamente ai crediti». Giudica comunque positiva la polemica che ne è scaturita perché «porta un dibattito all'interno della scuola che fino a venti o trenta anni fa non si poneva nemmeno il problema, relegato solo fra credenti e non credenti». Passi avanti che però ora Chiesa e governo vogliono stoppare sul nascere.