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Manifesto: «La nuova scuola è contro il diritto ad essere bambini»

Chi ha i soldi potrà scegliere; chi non li ha, resti dov'è, umiliato e privato anche della sua immaginazione.

18/09/2008
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il manifesto

«La nuova scuola è contro il diritto ad essere bambini»
Arianna Di Genova
Grembiuli, brutti voti in condotta (a quando la marcia cantando in corridoio?), insegnante unico. Tagli al tempo pieno e tagli alla fantasia dei piccoli per predisporli a un ammaestramento da cittadini perfetti. La «nuova scuola» annunciata dalla ministra Mariastella Gelmini colpisce soprattutto il diritto a essere bambini. Poi, naturalmente mina le fondamenta di un sistema pedagogico in vigore da circa mezzo secolo e (non ultimo) mira diretto al risparmio dei costi, per via di togliere (prof, educatori, mediatori linguistici, servizi vari..). Non c'è nessun disegno nelle proposte governative se non quello di fare la «cresta» alla spesa pubblica per privilegiare l'ambito del privato. Chi ha i soldi potrà scegliere; chi non li ha, resti dov'è, umiliato e privato anche della sua immaginazione. Alle spalle di Gianni Rodari, Roal Dahl e le ragazzine eccentriche di Bianca Pitzorno. Tanto, a intrattenere gli alunni c'è la tv, modello planetario e baby sitter che offre forza-lavoro a poco prezzo. Nelle scuole, le maestre si sono ribellate portando il segno del lutto: è un atto simbolico perché quello che sta morendo fra i banchi è il bambino creativo, quell'individuo fiducioso del mondo che si apre al futuro. La «stretta» Gelmini è stata analizzata lucidamente da un documento redatto dal Movimento Cooperazione Educativa (nato in Italia nel 1951, sulla scia del pensiero pedagogico e sociale di Célestin Freinet), che ha messo in evidenza alcuni punti cruciali per non lasciarli sfuggire attraverso le maglie un po' troppo allentate dell'opinione pubblica. Il ritorno alla valutazione in decimi - che molti, anche da sinistra, considerano con benevolenza - cancellerebbe l'idea di valutazione formativa, ovvero scalzerebbe quel giudizio globale che apriva al dialogo fra insegnante, studente e famiglia, mostrandosi come un qualcosa in progress, mai definitivo. Un quattro, certo, è meno dialogante, non orienta granché e sconcerta assai. Ma davvero, si chiedono al Mce, «si può dire che un testo libero, una prova pittorica, una intuizione matematica vale 5 o 7?». Per non parlare poi del voto al comportamento, che si vorrebbe preventivo ai fenomeni di bullismo. Anche qui, l'approccio pedagogico è totalmente sbagliato. Il giudizio non deve essere una intimidazione, piuttosto un «itinere» che, attraverso le buone pratiche didattiche, conduca l'alunno verso un responsabile modello di vita. Non si controlla nessuno con la paura o il ricatto perché così non si cresce. Fra le note dolenti, il Mce insiste anche sul concetto di insegnante unico. «In campo educativo - avverte - l'efficacia non si misura in termini di risparmi immediati. Si tratta di processi e una verifica continua è fatta comunque dagli stessi operatori». La scuola di oggi, sottolinea poi, non «è più solo leggere scrivere far di conto, è un laboratorio di apprendimento sociale e di nuovi linguaggi sui quali a volte gli alunni si dimostrano perfino più competenti del prof». Infine, il taglio del tempo pieno (oltre che di migliaia di posti di lavoro) che Gelmini dice essere solo una propaganda dell'opposizione politica e che invece si prospetta nelle materne e elementari dal 2009: non si può creare una scuola che sia un mosaico di proposte semplicemente per allungare l'orario (modello self-service e fast food ) perché l'educazione ha a che fare con una organicità e modalità di relazione che la frammentazione non aiuta né incentiva. La scuola dovrebbe essere la testimonianza di una buona relazione sociale fra cittadini di diverse generazioni (allievi e maestri in primis ), fondandosi su un patto di non belligeranza. I bulli allora non saprebbero proprio con chi prendersela.